Nel famoso discorso all’università di Stanford, Steve Jobs parlava di unire i puntini: «Certamente all’epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro. Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro». Pare che l’unico libro sull’iPad di Steve Jobs fosse Autobiografia di uno Yogi. È invece certo che al suo memorial service, a ognuno dei presenti è stata donata una copia di questo libro. Pare che questo abbia reso temporaneamente esaurite le copie disponibili negli Stati Uniti.
Il punto di partenza della mia pista cifrata fu un breve corso sulla Numerologia tenuto da un amico. Lì, nel 1997 mi ritrovo in un seminario di tre weekend in cui la terapeuta Niro Markoff guidava «il partecipante verso una chiarezza certa in relazione al cammino personale da scoprire». Per la prima volta nella vita ho praticato alcune meditazioni, e ho ricevuto risposte importanti. Avevo 20 anni e la vita era già stata Maestra, più nel male che nel bene. Era scattato qualcosa, che non sapevo decifrare. Al termine del corso, ognuno di noi venne invitato a scriversi una lettera. La mia mi fu spedita due anni dopo e da allora è sopravvissuta a due traslochi, e anche se non so mai dove si trova, quando serve spunta da qualche libro o scaffale. Scrivevo a me stessa: «[questa energia] c’è e la voglio conoscere. La voglio liberare e imparare a usarla, non posso più fingere che non esista. Forse è proprio questa sua enorme potenza che mi ha spaventata. Sento di dover sgrossare questa energia da tutto ciò che non le appartiene, per quanto ciò possa procurare dolore o conflitto. Non sono arrivata da nessuna parte. È solo l’inizio del mio viaggio».
Dopo qualche esplorazione, lo Yoga arriva nel 2000, travolgente. La mia personale sfida era semplicemente non mollare: giudizi, senso di inadeguatezza, indolenza erano i miei ostacoli. Ci ho fatto pace, e superarli in classe è stato anche superarli nella vita che, peraltro, continua a metterci alla prova proprio sugli stessi temi. Nel 2007 ho incontrato il Kriya Yoga di Babaji, una tradizione che fornisce tecniche da applicare quotidianamente: è iniziata così una nuova fase in cui la disciplina e l’impegno sono diventati totalmente personali.
Nel 2010, poi, una serie di eventi apparentemente casuali mi ha portato all’insegnamento, che all’inizio è stato uno strumento per riprendere gli studi e le pratiche in modo regolare. Anno dopo anno, da palestre fitness a centri olistici, palestre comunali, parchi e centri yoga, ho passato migliaia di ore in classe. Ho avuto il privilegio di vedere persone che fiorivano, trovavano la propria strada, ricordavano chi sono, si sono scoperte persone migliori. Non succede sempre e non succede subito, ma quando succede… è la magia della sincronicità, lo specchio che riflette il meglio di noi, proprio quando è lì, pronto a uscire.
C’è un immaginario collettivo fatto di yogini flessuose in top e shorts, e c’è la realtà. La mia storia è quella di tante, tantissime donne: sovrappeso e scarsa abitudine al movimento avevano reso il corpo uno sconosciuto. Era naturale evitare il confronto fisico, mettere distanza fra me e gli altri, fra me e le emozioni. Attraverso lo Yoga ho esplorato per la prima volta il potenziale del corpo, ho trovato il mio confine e sperimentato la costanza, che negli anni è diventata disciplina in classe e nella vita.
Sono cambiate, gradualmente e senza sforzo, le mie abitudini alimentari. Nessuna dieta o medicina ci era riuscita, ne ho provate numerose. La pratica continua ha portato la consapevolezza nel rapporto con il cibo e con le emozioni, con il risultato finale di un metabolismo più veloce tanto sul piano fisico quanto in quello emotivo. Ho toccato con le mie mani che mente e corpo sono un organismo unico e mutevole, che come è dentro così è fuori e viceversa.
Si tende a pensare che lo Yoga sia rilassante, ma non è sempre vero e non per tutti. Credo piuttosto che sia un’opportunità di andare oltre i propri confini: fare Yoga sarà calmante per chi tende a essere iperattivo, sarà invece una spinta attiva per chi tende all’inerzia. Nel contesto protetto dello Yoga lasciamo emergere emozioni nuove, impariamo a conoscerle e possiamo capire se e quando ne siamo soggiogati, e decidere cosa farne. Acquisiamo gli strumenti per osservarci con neutralità, analizzando cosa ci spinge ad agire e superando gradualmente la rigida logica delle categorie, della divisione. Sono cresciuta nel rifiuto del conflitto e delle emozioni negative. Per me i primi anni di pratica sono stati gli anni della rabbia: al termine di ogni lezione ero su tutte le furie, nonostante partecipassi sempre con le migliori intenzioni. Oggi ho smesso di giudicare “buona” l’assenza di conflitto e “cattivo” il conflitto. Ho smesso di credere che essere buoni sia uguale a esser giusti.
Ho piano piano capito di avere fatto esperienza di quello che chiamiamo «potere creativo»: le immagini che ho lasciato emergere durante le pratiche Kriya (che sono quelle che ho fatto mie, quelle del mio percorso yogico) sono diventate elementi costitutivi della mia realtà. Senza intervento conscio della mente, la candela a forma di loto su cui mi concentravo è diventata un altare in una sala da yoga. Dopo un anno insegnavo in una palestra e in un centro olistico. Alla fine, ho insegnato per diversi anni a tempo pieno. Mi è successo di visualizzare posizioni che pensavo di non saper fare… e farle. Ho meditato con l’immagine di alcune mala (i rosari buddhisti e induisti, ndr) che qualche mese dopo sono entrati nella mia vita e che distribuisco in Italia da 13 anni.
Presa dall’entusiasmo di condividere qualcosa di così prezioso, di portare con me altri che potessero fare la stessa cosa, in una personale distorsione per dimostrare che insegnare Yoga potesse essere un lavoro a tutti gli effetti e diventare sostentamento, il corpo ha deciso per me. Da un giorno all’altro non sono più stata in grado neanche di sedermi a gambe incrociate: una grave infiammazione, apparentemente senza motivo, mi ha allontanata brutalmente da quello con cui evidentemente mi stavo identificando.
Così ho iniziato a riposizionare le cose, a lasciare i corsi e a dedicarmi alle attività culturali dell’associazione di cui facevo parte allora. Mi sono tolta un vestito molto comodo, ci ho messo un po’ ma ho creato un vuoto, mi serviva spazio. Avevo continuato a svuotare una coppa senza riempirla. Oggi lo chiameremmo burnout.
Quello che è successo ha quasi del miracoloso: era il 2017 e ho ricevuto un invito dall’Ordine degli Acharya per andare a Bangalore per fare il terzo e ultimo livello di questa linea di Kriya. Al mio ritorno ho ricevuto un invito dal presidente dell’Ordine, che mi ha chiesto se ero disposta a iniziare la preparazione personale per poter trasmettere le tecniche di primo livello. Ho iniziato così due anni di sadhana (la pratica rituale, ndr) intensa e verificata, di grande trasformazione che fa della vita stessa la sadhana più importante.
Mi piace sottolineare una cosa che per me è dirimente: nessuno può scegliere di fare questo percorso, non si compra. Non c’è il corso per diventare Kriya Yoga Acharya. Si viene chiamati e si può scegliere se fa per noi o meno. In questa linea di Kriya Yoga si sottolinea che il Maestro è uno solo, e ognuno di noi stabilisce un contatto intimo con Lui, come personificazione della conoscenza che potenzialmente ognuno di noi può incarnare. Mi è stato dato un nome per me prezioso, Chandradevi: nella letteratura classica dello Yoga e del Tantra, «Chandra» si riferisce alla sede della mente superiore, o buddhi, che secerne il “nettare dell’immortalità”, noto come amrita o soma. Il Sole rappresenta il macrocosmo, l’Universo. La Luna rappresenta il microcosmo, il corpo umano, ma riflette in sé l’intero Universo, proprio come la luce della Luna riflette la luce del Sole. La contemplazione in silenzio della luna sulla corona del capo e l’inversione del flusso del suo nettare attraverso le pratiche yogiche portano alla trascendenza di tutti i limiti umani.
Vi ho raccontato queste tappe con profonda gratitudine, con l’impressione di avere a che fare con una corrente ad altissima frequenza, con cui ho sempre rispettoso timore a entrare in contatto. Quello che oggi chiamo Yoga è quella danza fra anime che cercano la chiave per guardare oltre la personalità, una danza di liberazione. Uno Yoga che rende responsabili, nel senso più profondo e impietoso del termine: perché tutto ciò che siamo è il risultato di ciò che scegliamo di pensare.
Vinicio Capossela, cantautore, poeta, scrittore e intrattenitore “non allineato”, fuori dagli schemi nella sua follia creativa, sceglie di rappresentare, da sempre, l’anima della festa natalizia in tutte le sue diverse interpretazioni e manifestazioni e dedica un album, «Sciusten Feste N.1965»...
Ospitare è un atto di fiducia, di disponibilità e di bellezza e non è solo un gesto moderno, ma un valore radicato nella nostra cultura. In un mondo dove tanti valori sembrano perdersi, dove spesso temiamo l’altro, l’ospitalità resiste come atto rivoluzionario, di generosità e condivisione. Quando vedo gli ospiti a loro agio, so di aver fatto qualcosa di bello. Accogliere è creare un clima di benessere e gioia, per gli altri e anche per se stessi.
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