Noi praticanti di yoga occidentali siamo profondamente attratti dagli āsana. La forma del corpo ci affascina e siamo attratti dalle sensazioni esaltanti che ci offre, soprattutto se pratichiamo gli stili contemporanei più dinamici. Ma ci domandiamo mai quanti sono gli āsana, chi li ha inventati e quando?
Andiamo a ritroso nel tempo ripercorrendo la loro storia con la consapevolezza che il margine di errore può essere altissimo. Molti trattati sullo yoga sono andati perduti, le datazioni di quelli che abbiamo sono incerte e le continue scoperte ribaltano le certezze acquisite. Sappiamo per certo che i testi in sanscrito più antichi contengono meno āsana rispetto al grande numero di āsana praticati nello yoga del XX secolo. Le fonti letterarie sugli āsana più conosciute da noi insegnanti e praticanti sono principalmente tre: Siva Samhita, Gheranda Samhita e Haṭhapradīpika. Sono questi i testi maggiormente citati nei corsi di formazione e molte persone pensano che siano i testi radice dello Hatha Yoga. In realtà sono solo i testi più famosi e più tradotti.
Negli ultimi anni sono stati ritrovati moltissimi manuali e trattati di Hatha Yoga che hanno svelato nuove pratiche e rivelato nuove datazioni dei testi più conosciuti, a conferma che la storia dello Hatha Yoga e, conseguentemente degli āsana, è ben lungi dall’essere stata scritta. Una delle ultime ricerche ha portato alla luce quello che si può considerare il primo manuale di yoga fisico: l’Amṛtasiddhi (1050), che, per la prima volta, associa parti del corpo umano ad alcuni elementi cosmici. Nell’Amṛtasiddhi cominciano a germogliare termini e pratiche fisiche che l’albero della tradizione Hatha farà sbocciare a breve. Centrali al progetto del testo tre pratiche: mahāmudrā, mahābandha e mahāvedha, che interessano principalmente il corpo sottile, sono funzionali al cammino verso la liberazione e possono essere considerate come i primi proto-āsana.
Intorno al 1000 nasce lo Hatha Yoga, lo yoga che usa il corpo come veicolo verso la trascendenza. Le prime tradizioni hatha mantengono il focus della pratica sul prānāyāma e sulle mudrā. L’āsana -pur essendo uno degli anga, cioè degli elementi necessari allo scopo- non era preminente, e infatti nei primi testi ci sono pochissimi āsana. Tuttavia questo non significa che gli autori conoscessero solo quei pochi āsana. Anzi, si pensa che avessero smesso la pratica di tanti āsana in favore di quei pochi propedeutici al lavoro energetico più sottile.
Il primo manuale della tradizione hatha- il Gorakṣaśataka (11° sec.) – descrive due āsana seduti. Nella Vasistha Samhita (12° sec.) sono presenti 10 āsana, di cui due (mayurāsana e kukkutāsana) non seduti. Molti dei testi del primo canone hatha testimoniano l’esistenza di 8.400.000 āsana, numero smisurato che affonda la propria origine nel mito. Nel Dattātreyayogaśāstra e nel Vivekamārtanda (12-13°sec.) si asserisce che Śiva ne abbia insegnati 84, confermando l’origine divina di tutti gli āsana.
Va detto che gli āsana in quel periodo non erano appannaggio solo degli hatha-yogin. Si pensa che molti āsana fossero praticati prima del 1400 da asceti e tradizioni marziali che non hanno lasciato testimonianze scritte. Inoltre, riferimenti ad alcuni āsana sono presenti anche nel Mallapurana, un testo tardo medievale sul wrestling indiano. Alla tradizione commentariale di Patañjali (Pātanjalayogaśāstra) sono attribuiti 13 āsana, elencati per prima volta nella Tattva Vaisaradi: il commento a Yogasutra di Vācaspati Miśra (X secolo). Non c’è proliferazione di āsana nei manoscritti successivi del Pātanjalayogaśāstra fino al periodo tardo medievale quando, anche questa tradizione, cita 84 posture.
Nel 1400 Svātmārāma compila l’Haṭhapradīpika scopiazzando versi da varie fonti di Hatha e Raja Yoga. Il testo descrive più āsana di qualsiasi altro testo precedente (15) e Svātmārāma afferma di essersi limitato a citare solo le posture conosciute dai saggi Vasistha e Matsyendra, lasciando intendere di conoscerne molte altre.
Bisogna aspettare il 1500 per osservare un sostanziale incremento del numero di āsana nei vari manoscritti.
In due manoscritti recentemente ritrovati, l’Hatharatnavalī (1600) e la Jogapradipyaka (1700), si trovano liste di 84 āsana che comprendono posizioni sedute e posture fisicamente impegnative, alcune delle quali basate su movimenti ripetitivi, l’uso di supporti e il controllo del respiro.
Un testo molto importante per la storia degli āsana è lo Yogacintamani di Sivananda Sarasvati, databile con certezza al 1659. L’opera descrive dei kriya che combinano tecniche di prānāyāma con degli āsana, a dimostrazione che, dopo il 1600, le tecniche di Hatha Yoga diventano più sofisticate e, lontane dal cadere in declino, vivono un momento di grande evoluzione. La sezione dedicata agli āsana contiene una lista di 34 posizioni provenienti da un’ampia varietà di fonti, che Sivananda cita puntualmente. Questo particolare rende lo Yogacintamani una preziosa fonte per datare le opere e capire quali non sono più esistenti. Nel testo, Sivananda – che era un advaita vedantin – inserisce anche āsana e tecniche provenienti da maestri visnuiti. Inoltre cita āsana di maestri recenti oltre a quelli mitici come Vasistha e Yajnavalkya. Tutto questo rende lo Yogacintamani un testo poliedrico e moderno, riferito al suo contesto.
Un altro importante manoscritto è l’Hathabyashapaddhati (1700?) scritto da Kapala Kurantaka. Si tratta di un manuale di pratiche la cui sezione sugli āsana conta 112 posizioni, di cui molte inedite. Dà molto spazio alle illustrazioni e presenta la pratica in modo ordinato: yama, niyama, āsana, satkarman, pranayama e mudrā. Gli āsana sono descritti secondo una precisa successione: non si può eseguire un nuovo āsana se prima non si è padroneggiato quello precedente. Nel testo, inoltre, gli āsana sono sistemati in questa sequenza: supini, proni, statici, in piedi, con corda, che perforano sole e luna. Queste suddivisioni saranno riprese successivamente in altri testi e per alcuni lignaggi sono valide ancora oggi.
Ma perché il numero degli āsana è cresciuto così tanto dal 1500 al 1700?
Col crescere della sua popolarità l’hatha yoga si trasforma da pratica ausiliaria (uno di quattro yoga: hatha/laya/dhyāna/rāja) a pratica a sé stante. Alla fine del 1400 era largamente praticato e si evolvette, accogliendo sperimentazioni, innovazioni e contaminazioni provenienti dall’ascetismo e dalle arti marziali. Fra le varie ipotesi sulla proliferazione degli āsana c’è quella della competizione fra tradizioni: più āsana più gloria. Ovviamente dal 1000 al 1700 anche i testi di hatha yoga cambiano. I primi sono brevi, scritti dagli allievi per gli allievi. Successivamente diventano più estesi ed eruditi e forse le liste di āsana sono comparse perché gli autori volevano dilungarsi.
C’è una connessione fra gli āsana medievali e quelli moderni?
I grandi pionieri dello yoga moderno non citano nelle loro opere questi manoscritti. Ma ciò non significa che non li conoscessero. È probabile che guru del calibro di Krishnamacharya, Sri Yogendra e Kuvalayananda avessero ereditato la conoscenza di queste pratiche dalle loro famiglie o da maestri, secondo l’insegnamento orale parampara. Molti di questi guru erano bramini, e disapprovavano l’ascetismo estremo e le pratiche dei rinuncianti. Quindi è probabile che le loro fonti sugli āsana fossero i testi del 1600 e del 1700.
Certamente la maggior parte delle posture (sedute, con flessioni in avanti, inarcamenti, rotazioni e in equilibrio) dello yoga moderno proviene da queste fonti testuali.
Sui nomi degli āsana c’è sempre stata una grande confusione. Cambiano da una tradizione all’altra e ci sono differenze anche fra lo yoga medievale e quello moderno. Il motivo è da ricercare nelle influenze locali e nei tentativi dei vari guru di differenziare il loro repertorio da quello degli altri maestri.
Il “saluto al sole” e i “vinyasa” oggi tanto praticati non sono presenti nei testi medievali. Nell’Hathabyashapaddhati ci sono āsana in movimento e sequenze, ma l’autore non dice come praticarli, né per quanto tempo tenerli o come respirare. La mancanza di dettagli tecnici suggerisce che non c’era consenso su questi argomenti. Tutto era lasciato alla discrezione dei guru. Per quanto riguarda le posizioni invertite, sono presenti sia nello yoga medievale che in quello moderno. Nel primo canone hatha la postura di inversione è una mudrā, chiamato viparita karani. Nel tardo periodo hatha, viparita karani diventa un āsana con appoggio sulla testa, e ha diverse varianti (kapalasana, sirsasana, sarvangasana).
Le liste degli āsana medievali non comprendono molte posizioni in piedi dello yoga moderno, che derivano dai sistemi di ginnastica portati in India dagli inglesi. Probabilmente fra la seconda metà dell’800 e i primi decenni del ‘900 molti guru hanno esteso i sistemi di ginnastica europei attingendo agli āsana dei testi antichi e a tradizioni parallele di āsana, come il wrestling e le arti marziali, delle cui connessioni con lo yoga sappiamo però ancora poco. Se prendiamo per esempio il sistema di Krishnamacharya, notiamo che le posizioni in piedi sono preminenti. A cosa si è ispirato?
Le biografie di Krishnamacharya riportano che i suoi insegnamenti provengono da un testo antichissimo chiamato Yoga Kurunta, che però nessuno ha mai visto e non risulta nemmeno presente nei cataloghi di manoscritti indiani. E allora queste posizioni in piedi da dove vengono? Sicuramente Krishnamacharya era familiare con i 111 āsana dell’Hathabyashapaddhati, che cita nel suo libro Yogamakaranda. Anche la figlia di Iyengar parla di posizioni e supporti citati nel fantomatico Yoga Kurunta. Ma l’unico testo – in nostro possesso – che usa le corde è l’Hathabyashapaddhati. Allora forse questo fantomatico Yoga Kurunta altro non è che l’Hathabyashapaddhati scritto da Kapala Kurantaka. In questo caso è assai strano che biografi, figli e allievi non abbiano messo in relazione i due testi. Solo il ritrovamento di altri manoscritti chiarirà, forse, questi dubbi.
Il presente e il futuro
Le tradizioni più importanti continuano a pubblicare manuali e testi di riferimento anche oggi. Ne sono esempio le pubblicazioni della tradizione di Swami Satyananda, oggi portata avanti da Swami Niranjanananda, e i libri della tradizione di André Van Lysebeth, che nel 2016 ha editato l’Enciclopedia dello Yoga, un volume che sintetizza l’insegnamento del maestro belga.
I principali āsana si trovano anche nei testi dell’Ananda Yoga, che si rifà agli insegnamenti di Paramhansa Yogananda e di Kryiananda, e in quelli di Swami Gitananda. In queste tradizioni non c’è proliferazione nel numero degli āsana e l’insegnamento viene mantenuto inalterato sebbene si tenga conto delle trasformazioni del contesto storico-sociale degli allievi.
Nei testi della maestra Gabriella Cella si trovano āsana “tradizionali” insieme a pratiche del tutto originali denominate Yoga Ratna.
Nello yoga dinamico contemporaneo diversi nuovi interpreti, ispirandosi alle sequenze codificate cento anni fa da Swami Krishnamacharya, hanno creato originali serie di āsana, o vinyasa, dando origine a nuovi brand di yoga con tanto di trademark e scuole di formazione.
Non si sa come supereranno la prova del tempo e se potranno diventare delle “tradizioni”. La storia dello yoga continua…
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Noi praticanti di yoga occidentali siamo profondamente attratti dagli āsana. La forma del corpo ci affascina e siamo attratti dalle sensazioni esaltanti che ci offre, soprattutto se pratichiamo gli stili contemporanei più dinamici. Ma ci domandiamo mai quanti sono gli āsana, chi li ha inventati e quando? Dal Medioevo a oggi, una storia ricca di maestri e di possibilità...