Una delle diatribe che più appassiona accademici, maestri e praticanti di yoga è quella relativa all’attribuzione di alcuni āsana direttamente a Patañjali. Del celebre filosofo, padre dello Yoga si sa che nel suo trattato Yogasutra non descrive alcun āsana, ma “semplicemente” lo definisce in tre aforismi:
2.46. sthirasukham āsanam || L’āsana è una posizione stabile e comoda, che sorge
2.47. prayatnaśaithilyānantasamāpattibhyām ||
o allentando lo sforzo, o fondendosi in modo meditativo con l’infinito.
2.48. tato dvandvānabhighātaḥi ||
Finché non saremo più attaccati dalle coppie di opposti
La definizione di āsana che dà Patañjali risale al 375 d.C., in quel momento a lui interessa rivaleggiare coi buddhisti, che avevano già da tempo sviluppato un loro yoga, che culminava con un accattivante nirvana finale. L’obiettivo di Patañjali era quello di dimostrare che anche all’interno dell’ortodossia brahmanica era possibile raggiungere uno stato di mente super cosciente, che lui chiama kaivalya. Anzi, coi suoi 194 aforismi, lui dimostra che l’obiettivo finale raggiungibile con lo Yoga è molto più stabile e duraturo di quello proposto dai buddhisti. A come disporre, flettere, piegare o invertire il corpo non ci pensava minimamente.
Ultimamente nel nostro ambiente si parla tanto di una lista di 13 āsana attribuiti a Patañjali. Ne ho scritto anche io attingendo da un bellissimo libro che si chiama Yoga in transformation scritto da vari autori, fra cui gli accademici Philip Maas, Jason Birch e James Mallinson. In questo libro, per la prima volta, viene presentata in edizione critica l’analisi dei Sutra 2.46-2.47-2.48. Il che significa che sono stati messi a confronto su quell’argomento tutti i manoscritti esistenti fino al momento della ricerca. Un lavoro enorme. Da questo confronto è emerso che fra i Sutra 46 e 47, in alcuni manoscritti del Pātanjalayogaśāstra compare questa lista di 13 āsana.

Attenzione però a non fare confusione fra Yogasutra e Pātanjalayogaśāstra. Il primo è l’insieme dei 194 sutra, il secondo è il testo radice più il commento ai sutra. Il primo commento, il più famoso di tutti è quello di Vyasa. Chi è Vyasa? Un allievo di Patañjali? Un compilatore anonimo che svolge una funzione? Patañjali stesso? E quando è vissuto? Insieme a Patañjali? 50-70 anni dopo? O molto dopo? Non si sa. Quello che si sa è che il commento di Vyasa spiega i sutra secondo la visione
vedico-brahmanica, spazzando via ogni eventuale interpretazione in chiave buddhista del testo radice.
È nel commento che si trova la lista dei 13 āsana, non nel testo radice. Quindi non è Patañjali che parla di 13 āsana, ma è la sua tradizione commentariale. Che è fatta anche dalle glosse successive, cioè da commenti più ampi e indipendenti dal testo radice. Chi scrive queste glosse? Grandi bramini e/o intellettuali che interpretano, aggiungono, correggono e spiegano ciò che sembra incerto nel testo radice. E ciascuno porta acqua al suo mulino.
Fra le più famose glosse che riportano la lista dei 13 āsana, e che sono oggetto dello studio di Philip Maas, in ordine cronologico, ci sono:
- la Tattva Vaisaradi di Vācaspati Miśra del X secolo;
- il Rajamartanda del Re Bhoja del XI secolo;
- lo Yogavarttika di Vijñāna Bhikshu del XVI secolo;
- lo Yogasutrabhasyavivarana di Sankara (che può essere o del 788-820 oppure del 500-600).
Dal punto di vista strutturale la lista di āsana interrompe l’unità sintattica della frase, fra i sutra 2.46 e 2.47:
L’asana è una posizione stabile e comoda, che sorge /
bhadrasana, virasana, svatikasana,dandasana, sopasraya, paryankasana…/
o allentando lo sforzo, o fondendosi in modo meditativo con l’infinito.
Il che ha fatto sorgere più di un dubbio agli accademici circa la sua effettiva appartenenza allo scritto originale o sulla sua aggiunta nel corso della trasmissione del Pātanjalayogaśāstra.

Per alcuni studiosi la lista è stata un’aggiunta da parte di un pandit, (uno scriba che si occupava di ricopiare il testo su un supporto cartaceo più nuovo per tramandare la tradizione), ipotesi avvalorata dal fatto che i commenti non spiegano in modo accurato le posture della lista. Quest’ipotesi mi fa molto sorridere. Non sarebbe una beffa per come ci accapigliamo a difendere con le unghie e con i denti l’una o l’altra tesi?
Tuttavia, dato che tutte le testimonianze testuali la includono, si è finito per considerarla parte della più antica versione. A me, comunque, il dubbio resta. Patañjali, un grande grammatico, che spezza così la sintassi e l’eleganza della frase! Come hanno risolto questo aspetto i grandi commentatori esperti di Patañjali? Quale interesse ebbe Vyasa, che a questo punto è il maggiordomo di questo romanzo con delitto, a inserire per primo i 13 āsana nella tradizione di Patañjali? O fu Vācaspati Miśra 600 anni dopo? Mistero.
Dal punto di vista cronologico all’epoca della glossa di Misra c’erano già tante tradizioni di yoga tantrico, cioè “fisico”, in cui il corpo è protagonista della ricerca. Quindi l’esistenza di una lista di āsana sembra più che plausibile. Forse volevano farsi pubblicità dicendo, “ehi, anche la tradizione di Patañjali comprende degli āsana”. A questo punto dovremmo domandarci: quali erano gli āsana presenti nel 375 d.C? E nel 900? Nel 1000? Cioè nelle epoche in cui venivano scritti i sutra e le glosse della tradizione di Patañjali?
Di questo parla Jason Birch, sempre nello stesso testo citato sopra.
Prima di affrontare i numeri, Birch fa un’essenziale premessa, citando un altro accademico, Joseph Alter:
Non c’è nulla che consenta la ricostruzione della storia della pratica di āsana, questo dimostra il bisogno di fare ricerche. La scarsezza di una chiara storia della pratica nel 1700 e 1800 dovrebbe mettere una bandierina rossa sugli esiti concernenti la presupposta antichità di tutto ciò che oggi è considerato Hatha-Yoga.
Quindi calma. Sappiamo ancora troppo poco. Molti manoscritti da cui derivano i testi che conosciamo sono andati perduti o non sono ancora stati tradotti. Il che significa che la vera storia della pratica di āsana deve ancora essere scritta. Sappiamo per certo, però, che nel 1050 fu scritto l’Amṛtasiddhi: il primo testo a insegnare un metodo fisico di yoga, che in opere successive sarà denominato Hatha. Quanti āsana sono descritti in questo testo? Zero. Si parla di respiro, di nettare lunare e del sole che lo brucia nello stomaco. Si parla di stare seduti ed eseguire i tre bandha che servono a perforare i tre granthi.

Fra l’XI e il XII secolo, Goraksanātha, il leggendario fondatore dell’ordine dei Kānphata-yogin, scrive un trattato (andato perduto) che si intitola Hatha-yoga e un suo commento, il Goraksa-śataka. I Kānphata-yogin sono i seguaci di Śiva che danno origine alle pratiche di yoga tantrico, cioè allo Hatha-yoga, sulle montagne himālayane, nell’area bengalese. In realtà, probabilmente, più che dare origine, danno nuovo impulso a una tradizione risalente alla più remota antichità, a quello yoga pre-ārya presente già nella civiltà della valle dell’Indo. Quanti āsana ci sono in questo testo del 1100? Due. Si respira e si cantano dei mantra, seduti. Ma allora questi 13 āsana da dove li hanno presi i commentatori del Pātanjalayogaśāstra? Non dalla tradizione Hatha, o quantomeno, non dalla tradizione hatha che conosciamo fino a oggi.
Sappiamo, d’altro canto, che la tradizione Hatha cita l’esistenza di 84 āsana elargiti agli uomini da Siva stesso, ma ne considera e ne descrive solo quattro, almeno fino alla Gheranda Samhita (di datazione incerta, 1500-1600?) che arriva a menzionarne 32. Sappiamo anche che intorno al 1200 inizia la proliferazione degli āsana. Con l’aumento della popolarità le diverse tradizioni Hatha entrano, per così dire, in competizione fra loro, e si assiste all’evoluzione della proposta di āsana. Cito Birch:
Il trend sembra essere “più asana, più gloria”, e così gradualmente furono proposte sempre più posizioni, che mostrano evidenti contaminazioni provenienti dall’ascetismo e dalle arti marziali.
Quindi gli asana c’erano, solo che si tramandavano oralmente, e ogni tradizione aveva i suoi, ma finché non troviamo riscontro nei riferimenti testuali possiamo fare solo ipotesi. Forse un giorno scopriremo che questi 13 āsana provengono da un’altra fonte, o forse davvero la lista l’ha messa lì uno scrivano che aveva bevuto troppo vino.
Dobbiamo ancora trovare l’anello di congiunzione fra la tradizione di Patañjali e il canone Hatha, ammesso che ci sia. Quello che è certo è che prima di associare il nome di Patañjali, o il suo testo radice, agli āsana come li conosciamo oggi, occorre essere molto prudenti.

Questo articolo è apparso su Yoga Journal nella rubrica La mia pratica e lo ripubblichiamo qui per gentile concessione del direttore Guido Gabrielli. Abbiamo scelto Francesca Alinovi perché il suo gruppo, i Lovesick, sta mietendo successo ovunque. Francesca trova tutta la potenza del suo contrabbasso nella pratica di meditazione buddhista e di yoga. Ecco il suo racconto.

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