Questa estate per una settimana ho fatto una sorta di ritiro yogico con alcuni maestri della mia tradizione, quella legata agli insegnamenti di Paramahansa Swami Satyananda Saraswati. Quello che ho imparato, non me l’hanno insegnato con le parole, ma con i gesti. Non l’ho trovato scritto su un libro, ma è emerso dell’esperienza. Sapete quando si dice che siamo tutti maestri di noi stessi? Ecco, quando fai un’esperienza da allievo e sei davanti a dei maestri che non si pongono come dei maestri, capisci il senso dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Se si pratica qualche disciplina spirituale, se si è allievi di qualche tecnica o di qualche sentiero, la cosa che accade molto spesso è vedere “principianti” con un diploma che si fregiano della parola “maestro”. Il mio maestro, invece, uno che ha studiato con i più grandi del Novecento, non vuole che lo si chiami maestro. Questa cosa mi fa molto pensare. Innanzitutto nel momento in cui ricevi un insegnamento diventi responsabile personale di questo insegnamento. Non è soltanto ricevere una tecnica, è ricevere un lignaggio, un insegnamento che arriva da molto lontano, non soltanto dall’ashram in cui è nato 100 o 150 anni fa, ma è il frutto dell’esperienza di migliaia di persone che si sono trovate esattamente nel punto che sto cercando di descrivere.
Il punto in cui sei conscio di aver ricevuto un insegnamento e di averne anche ricevuto la responsabilità personale e sociale. Ecco perché ti senti sempre discepolo e allievo, anche se nella pratica sei un maestro per molti.
I maestri sono servitori. Gli insegnanti, tutti, sono i servitori dei servitori, e i servitori sono coloro che si mettono in questa condizione di apprendere per diventare a loro volta servitori di altri. Nel momento in cui ti è stata passata una tradizione non diventi il depositario di questa tradizione, diventi il comunicatore, hai quasi, non dico il dovere, ma la responsabilità di portare questa tradizione che non trasmette un potere, ma una possibilità, una via di possibile liberazione.
L’acquisizione più grande, il dono più grande che ho avuto questa estate, ve lo voglio raccontare: non ho visto luci, non ho sentito una forte emozione, non ho avuto visioni di santi o di divinità. È accaduto un giorno in cui avevo un pensiero ricorrente molto forte che mi provocava delle grandi reazioni emotive per una questione che avrei dovuto affrontare, ma non sapevo come risolvere senza causare danni. Non so perché, ma quel giorno, forse quello più intenso della pratica, questa questione mi si è palesata nella mente e non se ne voleva più andare. È durata tutta una pratica di tre ore e poi ha continuato durante la notte. Il pensiero era potentissimo, per quanto mi sforzassi con pratiche e mantra, non se ne andava. Io ero anche abbastanza abbattuto perché – pensavo con un sorriso autoironico – con tutta questa pratica, sono ancora qui a non riuscire a domare le mie ossessioni e i miei pensieri…
Poi la mattina dopo aver dormito pochissimo, prima delle 6 sono uscito, sono andato a meditare e a recitare il Durga Mantra su una panchina davanti a un’alba bellissima. E dopo aver recitato questo mantra sono andato a praticare e, a un certo punto, pochi minuti dopo l’inizio della pratica, erano le 7.35, il Sole ha scavallato un muro e si è alzato su di noi, e quel pensiero potente è svanito, sciolto letteralmente al Sole. Come se non fosse mai esistito prima. Capite bene che non è un mio merito, non sono stato “bravo a fare qualcosa”, non è la dimostrazione che ho acquisito qualche potere o qualche dinamica mistica. Si è trattato di un dono, sì, un dono che è arrivato dopo giorni e tante ore di pratica. Un dono dello Yoga.
Questo è il senso: è inutile cercare nelle parole o nelle tecniche fine a se stesse la soluzione dei nostri problemi. Spesso i problemi sono solo pensieri che avvolgono la mente e l’anestetizzano. La soluzione arriva da sé e arriva con la pratica quando non si chiede alla pratica di risolvere il tuo problema. Ma queste tecniche che arrivano da così tanto lontano, lavorano nell’inconscio e piano piano portano la soluzione senza che nemmeno tu l’abbia chiesta o abbia formulato una domanda. Ecco cosa vuol dire per me fare yoga, ricevere insegnamenti e insegnare.
La seconda esperienza forte della mia settimana yogica è avvenuta in un ashram dove ho trascorso solo 36 ore. Era la prima volta che lo visitavo, nonostante fosse quello che in Italia rappresenta la mia tradizione. All’inizio è stato inaspettato, pensavo che avrei ricevuto insegnamenti – nella maniera occidentale del termine – e invece ho lavato i piatti, ho cucinato (con scarso successo e plauso di pubblico), di nuovo ho lavato i piatti…
Un pomeriggio la swami mi ha chiesto di andare a spazzare il Deva, lo spazio più “sacro” con i cimeli appartenuti al nostro maestro, Paramahansa Satyananda. Mi sembrava di essere nel film Karate Kid, dai la cera, togli la cera, mi faceva davvero sorridere, ma sapevo che era un insegnamento che stavo per ricevere. Così sono sceso al Deva, ho preso un’improbabile scopa e ho cominciato a spazzare il pavimento coperto di frutti e foglie di olivo. «Che ci vorrà mai?», ripeteva la mia mente milanese in agguato. Spazzavo e pensavo «Ho già fatto questo pezzo», ma poi mi voltavo e c’erano ancora foglie e olive per terra; allora, riprendevo a spazzare lo stesso pezzo di pavimento; «Adesso avrò fatto…!», mi dicevo soddisfatto, e invece quando mi voltavo c’era ancora qualcosa per terra. Quando ho finito di spazzare, dopo un’ora di avanti e indietro a fare e rifare il lavoro, ho compreso l’insegnamento: avrei dovuto lavorare di più sulla consapevolezza; spazzi e sai di spazzare, sei su quel tratto di pavimento e sai che stai raccogliendo tutto ciò che effettivamente c’è, non quello che immagini ci sia. E quando ti spazientisci, fai un bel respiro e un bel sorriso e ricominci. Finché il piazzale è lindo come se avessero appena poggiato le piastrelle.
La sera, dopo uno scroscio di pioggia, sono tornato sul piazzale e ho rifatto il lavoro e ho notato con un sorriso che al posto di ripassare 3-4 volte nello stesso tratto, be’, ne bastavano 2…
Questo è Yoga, questo è l’insegnamento esoterico che nessuna tecnica avrebbe mai potuto insegnarmi. Tutto il resto è New Age.
Ps Non ho citato i maestri nel racconto per non creare un articolo agiografico, ma non ho nulla da nascondere: il seminario cui ho partecipato è quello del mio maestro Antonio Nuzzo a Caprese Michelangelo, mentre l’ashram è quello di Montescudo dedicato a Paramahansa Swami Satyananda Saraswati, diretto da Swami Anandananda con la collaborazione di Swami Shaktidhari.
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