Navigando sui social capita spesso di imbattersi, pur non cercandoli espressamente, in post e contenuti riguardanti la bellezza, soprattutto quella femminile. Il soggetto è di tutto rispetto ed è sempre stato fonte di interesse e di ispirazione per moltissime persone in diversi ambiti, dall’arte alla fotografia, dalla moda al benessere, dal fitness alla salute. Una cosa è certa: è la bellezza femminile a riempire di contenuti i media, laddove invece c’è molta meno attenzione per ciò che riguarda i corpi maschili e le loro storie.
Tutti noi sappiamo che esiste una bellezza oggettiva, vitruviana, fatta di proporzioni e rapporti aurei, così come sappiamo che i canoni estetici, sebbene standardizzati di volta in volta dai vari addetti ai lavori, attraverso le epoche si sono modificati e trasformati. Dalla Venere di Willendorf a quella botticelliana, da Marilyn Monroe alle Kardashian (sic), attraverso migliaia di anni di evoluzione sociale e culturale abbiamo delineato confini e margini di quello che oggi si ritiene il bello.
Dentro tutti noi, più o meno consapevolmente, è presente il concetto di Bellezza, che viene tutti i giorni messo duramente alla prova dai fortissimi condizionamenti sociali e culturali nei quali siamo immersi. E allora quando sui social media troviamo la foto di un’attrice famosa in costume, descritta come «bella e sexy a 60 anni come a 30», dentro di noi si fanno spazio tante reazioni, ed è difficile capire in prima battuta che quell’articolo sta confondendo la bellezza tout court con la capacità seduttiva in termini sessuali.
Ma non sono stati i social media a generare questa confusione o a creare questo modello. Le storie raccontate dalle dive hollywoodiane degli Anni 40 e 50 avevano già innescato questa bomba. «Vanno a letto con Gilda e si risvegliano con me», diceva Rita Hayworth, parlando di come il suo personaggio più famoso avesse impattato sulla sua vita personale. E se da una parte è vero che i canoni estetici e i nostri beniamini del cinema sono lì per essere copiati ed emulati da noi comuni mortali, dall’altra è pure vero che qualcosa è andato storto nel rapporto che abbiamo con noi stessi e col nostro corpo, se oggi non riusciamo più ad accettare i cambiamenti che il tempo opera in noi e a invecchiare con una certa dignità; e se a un certo punto, ciò che non possiamo modificare con la dieta e l’esercizio fisico lo lasciamo fare al bisturi.
Ma, dive americane o casalinghe di Voghera, che diavolo ci prende? In quale vicolo cieco siamo finite? Parafrasando il mitico Mario Brega, questo nostro corpo pò esse piuma e pò esse fero, può condurci in paradiso o gettarci nell’inferno delle ossessioni. Ma è la mente che ha in mano il timone, e se a cinquant’anni vogliamo il corpo che avevamo a venticinque, stiamo seguendo la rotta del Titanic.
«La bellezza salverà il mondo» diceva il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, sebbene in russo la frase «Mir spasët krasotà» pare suggerisca l’inverso: è il mondo che salverà la bellezza. Inoltre, la parola «mir» vuol dire anche «pace». Questo intrigante cambio di prospettiva vuole forse suggerirci che siamo tutti responsabili della bellezza, interna ed esterna, personale e globale, e che tale bellezza non può prescindere dalla pace? Forse sì.
Se trasportiamo questa suggestiva immagine nell’indagine dello Yoga, la prima cosa che ci compare davanti sono le cause primigenie della sofferenza umana secondo la filosofia indiana: scambiare ciò che è eterno con ciò che è immanente, pensare di essere il corpo, identificarsi con un modello astratto, vivere un’illusione e non la realtà, attaccarsi in modo ossessivo agli aspetti materiali dimenticando la nostra parte più profonda…
Ma allora quel disporre il corpo in forme perfettamente plastiche? Lo Hatha Yoga usa molto il corpo, ne fa il suo principale strumento d’indagine. Ma uno strumento implica che ci siano anche un suonatore e uno spartito, un meccanico e un progetto, uno scultore e una statua. Confonderemmo mai un oboe con la Quinta di Beethoven, una chiave inglese con una Ferrari o un pezzo di marmo con la Venere di Milo? No. E se confrontiamo il nostro modo di pensare di oggi con quello che avevamo da ragazzi potrà mai coincidere? Ovviamente no. Siamo diversi, ci siamo trasformati e, si spera, evoluti.
Eppure quando c’è di mezzo il corpo perdiamo la bussola. Non capiamo più niente e ci lasciamo irretire dall’illusione di poter plasmare la realtà. Ed è lì, in quell’accesso di superbia (asmita), che l’estetica dell’asana diventa lo scopo dello Yoga, e l’estetica della giovinezza lo scopo delle nostre energie quotidiane. Ma questi sono evidenti cortocircuiti, strade senza sbocco, perché la coscienza e il tempo possono andare solo in una direzione. Avanti.
Quindi diamoci una bacchettata in testa e usciamo razionalmente da questo incantesimo perverso che ci vuole fisicamente immobili e immutati. Curare il corpo, mantenerlo sano mangiando bene e praticando yoga o qualsiasi attività fisica, assolutamente sì. Farlo diventare il soggetto della nostra intera storia magari no.
Ma come si fa ad accogliere con serenità la bellezza che sfiorisce, quei solchi che scavano la nostra bella espressione, quel rotolino che spunta impietoso, incurante della dieta e della cyclette? Mica facile. Ma rimanendo aggrappati alla bellezza che fu, cercando costantemente di ricrearla, non ci condanniamo forse a percorrere un girone dantesco che assorbirà tutte le nostre energie? Il pericolo è assoluto e reale.
Per quanto mi riguarda l’unica direzione che ritengo efficace per sottrarsi al canto delle sirene del passato è quella di cercare una nuova idea di bellezza basata sull’oggi, di lavorare sul piano della coscienza globale, cercando nuovi stimoli, ampliando il range delle curiosità e costruendo nuove relazioni. Guardare al passato con ossessione ci rende soldati di una guerra che possiamo solo perdere, distogliendoci dalle enormi potenzialità del presente e ci allontana dalle meraviglie del nuovo, che ha bisogno dello spazio del vecchio per potersi manifestare pienamente.
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