Nel 2005, durante il viaggio di nozze in Malesia, ho visitato il tempio di Muruga alle Batu Caves. Secondo la tradizione Tamil, Muruga (che ha molti nomi tra cui Shanmukha, Subramania, Kartikeya e Skanda) sarebbe il figlio secondogenito di Shiva e Parvati e, dunque, fratello di Ganesha. La grande statua del tempio, purtroppo era coperta dalle impalcature per una manutenzione straordinaria, eppure in quel luogo ho vissuto una nuova, immotivata quanto incomprensibile gioia, che solo molti anni dopo avrei riconosciuto come un darshan (la sensazione di essere in presenza del divino, ndr).
Poco dopo ho incontrato il Kriya, ma passano altri 10 anni prima che io scopra Muruga.
Durante il periodo del lockdown, mentre completavo il training per entrare nell’ordine degli Acharya del Kriya Yoga di Babaji, scopro il Kandar Anubhuti nella versione nata in seno alla Divine Life Society, per mano di N.V. Karthikeyan e presentata da Swami Chidananda, Swami Krishnananda e Swami Sivananda. La prima lettura del Kandar Anubhuti è stata un’esperienza unica, probabilmente il primo vero testo sacro che ha cambiato la mia coscienza. So che può risultare ingenuo provare a raccontare qualcosa che sfugge alle modalità della comprensione ordinaria, ma è un rispettoso tentativo di suscitare una curiosità per questo gioiello.
Sono 51 versi, resi in quattro modalità: la traslitterazione del verso tamil, una traduzione fedele del verso, la traduzione in prosa, il commento dettagliato con le implicazioni e un quarto, prezioso significato esoterico del verso. In questa parte il punto di vista è quello del sadhaka, del ricercatore. Qui Karthikeyan rivela in modo raffinato il motivo per cui Arunagiri ha composto i versi come se a cantarli fosse il lettore stesso.
“Arunagiri ebbe l’Anubhuti (l’esperienza, ndr) del Signore Skanda e come risultato compose il Kandar Anubhuti affine anche gli altri potessero ottenere la stessa benedizione”.
Qualcosa di simile a un upgrade del mio sistema operativo accade già nell’introduzione, quando leggo la storia della nascita di Skanda e in un lampo capisco di avere visto quell’immagine in meditazione e ricordo cosa ho fotografato nel museo sotto le Batu Caves: esattamente le immagini di quella storia. Da 20 anni nel mio album di nozze.
Seguendo un’altra inspiegabile ispirazione, con l’aiuto di Acharya Gurudasan, nato a Salem (Tamil Nadu), inizio due mesi di parayana, la recitazione dei versi originali: ogni giorno ascolto i versi in Tamil, letti e cantati da Gurudasan e li ripeto prima di leggere i commenti. Questa modalità di studio mi ha fatto leggere il libro da un piano diverso, come se lo capissi per la prima volta, oltre l’entusiasmo della prima lettura; ora il parayana (recitazione quotidiana di un verso) e la lettura del commento sono diventati un pezzo della mia sadhana.
Mi rendo conto che non è un libro da iniziare e finire aspettandosi di sapere qualcosa di nuovo, ma sono anche certa che siano parole e concetti eterni, vibranti, che vanno in risonanza con la parte più grande e antica di noi.
Nel commento al verso 17, che gira intorno all’umiltà, Karthikeyan dice:
Dio o il Guru ci rivela dall’interno molti più segreti di quanti ne abbiamo avuti o letti dall’esterno. […] Egli appare come libro, come Guru e come saggezza. […] La conoscenza (inerte, jada) esiste nei libri cioè l’aspetto Sat. […] Quando la saggezza viene vista nella vita pratica, […] in un essere senziente che è incarnazione della conoscenza, è l’aspetto Chit. Ma solo nella propria saggezza interiore si diventa la conoscenza stessa, la conoscenza è inseparabile dalla vita e ciò è l’aspetto Ananda.
Sono felice che questo libro mi abbia trovata, di quella gioia che si autoalimenta perché ritengo che non dipenda da nulla di transitorio. Si legge nel testo: “Ogni ricercatore o devoto non studia tutti i libri. Ciascuno riceve il libro di cui ha bisogno, spesso in modo misterioso! Ci pensa il Signore, anche se non ci rivela facilmente questo segreto”.
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