«Della guerra era stanca ormai, al lavoro di un tempo tornerei», scrive Fabrizio De Andrè in Giovanna D’Arco.
Arrivò il tempo di appendere l’ascia al chiodo. Ero ritornata. La sveglia presto al mattino, i colleghi deprimenti che mi scaricano addosso impegni e frustrazioni, le riunioni inutili e continue, la routine di tutti i giorni. Lo stesso tragitto verso il lavoro e la campana alle 8.
Gioco dell’oca. Dove l’oca incontra la morte e ricomincia il gioco. Si riparte dal via. In fondo, ogni lavoro ha la sua routine: anche se consiste di viaggi e spostamenti. Viaggiare prima era facile, facilissimo. Treni ed aerei gratuiti. Chiamavo e prenotavo un viaggio in treno, un volo. I treni che prenotavo, però, portavano sempre là, Roma Termini, e fare altri viaggi sì, potevo farlo, ma ciò avrebbe significato stare fuori casa più a lungo, perché tanto poi il viaggio per Roma arrivava sempre. Sul treno dormivo tantissimo, mi buttavo sui sedili stanchissima con le camicie di seta e i tailleur in pied de poule. Mi addormentavo con il cellulare in mano per mostrare al controllore il biglietto mentre ero in dormiveglia. Stamattina a scuola un ragazzo mi dice: «Sa che c’è una pagina Wikipedia su di lei?». Sì, lo sapevo.
Non mi perdo in bilanci, sarebbe potuta andare così, avrei potuto fare questo. Mi sono comportata facendo del mio meglio con gli strumenti che avevo a disposizione in quella determinata situazione. Ho fatto tanto, ho trovato la forza in situazioni difficili. È vero, inutile negarlo, ho perso l’entusiasmo e lo slancio iniziali, quando la realtà si è dimostrata differente rispetto al sogno, quando i giganti del cambiamento si sono rivelati piccoli uomini che guardavano esclusivamente al proprio giardino. I dadi mi fanno tornare indietro per andare avanti. Perdere sarà vincere. Non posso fare altro che assecondare il flusso, ripercorrere pazientemente il cammino della spirale. Diversi giri, nessuno uguale all’altro. Ricominciare il gioco.
Sono con Sole, abbiamo attraversato una pioppeta, adesso siamo nei prati dove coltivano fieno. Non quest’anno, non ancora. Lei corre scodinzolando. Non prego e non vado a messa, ma ringrazio Dio ogni giorno per Sole. L’unico essere in grado di riconciliarmi con la vita. Sole non concepisce nulla che sia fuori dal momento presente: ora si mangia, ora si esce, ora si riposa, ora si gioca, con un legnetto o con una lucertoluzza, vanno bene entrambi. Tutto si svolge qui. E io da qui ricomincio, riscoprendo la gioia di assaporare le cose antiche, consuete, che mi piacciono. Prepararmi una tazza di caffè fumante, praticare yoga al buio mentre gli altri dormono. Uscire con Sole.
Mai avrei creduto nella vita di poter imparare così tanto da un cane. Mi ha insegnato la gioia per esempio. L’umanità. E quando penso che potrebbe venire a mancare, che verrà a mancare, mi sento morire anch’io. E mi sento anche un po’ in colpa perché commetto l’ennesimo errore. La guardo e lei mi dice con gli occhi che è qui e vuole vivere il presente ed io stupida umana penso al futuro e sono triste per una cosa che ancora non è avvenuta, allora le sorrido e gioco con lei. E andiamo ai laghetti, nel bosco, al parco. E a volte penso che la vita sia così: passare il tempo con gioia, e poi finisce e continua nello stesso modo per altri: animali, esseri umani, piante. Così da miliardi di anni.
Non so se qualcuno l’ha voluto, se c’è ordine in questo caos, so che oggi sono nel campo con Sole, l’aria accarezza la mia pelle e non importa dove andremo, l’importante è che saremo insieme. Senza compiere alcuno sforzo. La primavera arriva da sé, senza far nulla.


Questo articolo è apparso su Yoga Journal nella rubrica La mia pratica e lo ripubblichiamo qui per gentile concessione del direttore Guido Gabrielli. Abbiamo scelto Francesca Alinovi perché il suo gruppo, i Lovesick, sta mietendo successo ovunque. Francesca trova tutta la potenza del suo contrabbasso nella pratica di meditazione buddhista e di yoga. Ecco il suo racconto.

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