Essere gentili. Non è solo questione di buona educazione, di innato senso della cortesia. Di rispetto delle regole della convivenza civile. La scienza ci dice che la gentilezza è molto, molto di più: è una strategia evolutiva che ha consentito al genere umano di prosperare. Di più: un potente strumento per la manutenzione del benessere personale e, in un mondo sempre più frenetico e polarizzato, un antidoto naturale alla tensione sociale.
Sveliamo per prima cosa la natura di quel termine: «gentilezza». Ha radici profonde nella nostra storia. Deriva dal latino gentilis, che indicava l’appartenenza a una gens, ossia a un clan o una famiglia nobile. Il concetto originario suggeriva un senso di mutuo riconoscimento e appartenenza. Nell’antica Roma, le gentes non erano solo strutture sociali, ma anche reti di protezione reciproca: chi apparteneva a una gens aveva in qualche modo il dovere di tutelare e assistere gli altri membri.
Dalla lente della storia al microscopio degli scienziati: gli studiosi affermano oggi che la gentilezza è un comportamento profondamente radicato nella biologia umana. Donne e uomini, animali sociali, hanno sviluppato nel tempo la capacità di collaborare per la sopravvivenza del gruppo. Gli atti di gentilezza rafforzano i legami e creano fiducia, certo, ma… nel cuore pulsante della ricerca medicale un’intuizione rivoluzionaria sta arricchendo il modo in cui concepiamo la salute: l’altruismo e la gratitudine non sono solo valori astratti, ma si stanno rivelando veri e propri scudi protettivi per il nostro benessere. Fisico e mentale. Sono medicine che non si trovano in farmacia, ma nel calore di uno sguardo accogliente, nella forza di un aiuto autentico, nel donare il sangue, in una mano tesa al momento giusto, nel piantare un albero, nel regalare un abbraccio che sa di casa.
Da tempo, la medicina ha riconosciuto il legame indissolubile tra emozioni e salute cardiovascolare. Lo stress, l’ansia e la rabbia possono innescare violente tempeste infiammatorie nel nostro corpo, alterando le performance cardiache, la pressione arteriosa e l’integrità dei vasi sanguigni. Ma se le emozioni negative possono ledere il cuore, che cosa succede quando coltiviamo quelle positive? Uno studio pionieristico dell’Università di Harvard nel 2011 ha schiuso una breccia in questo campo, dimostrando che un intervento di “psicologia positiva” può migliorare le condizioni dei pazienti alle prese con gravi situazioni cardiovascolari. Per otto settimane, i partecipanti hanno praticato, come dire, “esercizi” di gentilezza, ottimismo e gratitudine, e i risultati sono stati sorprendenti: miglioramenti clinici tangibili, nonostante la gravità delle loro patologie.
Ma la ricerca non si è fermata qui, come ci ricorda un magnifico saggio, Biologia della gentilezza (Mondadori), firmato da Immaculata De Vivo e Daniel Lumera. Gli scienziati hanno voluto capire se la gentilezza potesse addirittura rappresentare un’arma di prevenzione, un “elisir” per tutelare il cuore prima che la malattia affiori. E così, un team di ricercatori americani ha condotto uno studio su una popolazione statisticamente più vulnerabile a subire problematiche cardiovascolari. Il protocollo, della durata di otto settimane, ha incluso esercizi per gestire lo stress, esprimere gratitudine ed esternare atti di genuina premura verso il prossimo. I risultati hanno confermato l’intuizione: chi soffriva di pressione alta ha registrato un sensibile calo dei valori pressori e un miglioramento complessivo del benessere emotivo.
Ma questo potere salutistico della “buona creanza” non si ferma al cuore. Uno studio canadese del 2015 ha voluto esplorarne l’impatto sull’ansia sociale, un disturbo che rende difficile interagire con gli altri. Agli studenti universitari partecipanti è stato richiesto di compiere almeno tre gesti cortesi per due giorni settimanalmente, nell’arco di quattro settimane (quasi alla stregua della posologia di una prescrizione medica!), azioni svolte a favore di qualcun altro, senza aspettarsi alcun beneficio personale in cambio. Atti semplicissimi ma cospicui: preparare la cena per un coinquilino, tagliare il prato di un vicino o sostenere un’organizzazione solidale con una donazione benefica.
L’analisi meticolosa dei dati ha rivelato una verità inequivocabile: la pratica assidua di queste attenzioni è un potente strumento per arginare la morsa della fobia sociale. Le persone coinvolte hanno mostrato una netta riduzione della tendenza a evitare le interazioni, segno di un cambiamento non solo palese, ma anche duraturo. E non è tutto. I livelli di ansia percepita si sono abbassati in modo rilevante, e ciò che colpisce di più è la rapidità con cui si è manifestato questo effetto positivo. La gentilezza ha superato persino l’efficacia dei trattamenti più tradizionali, che spesso richiedono un’esposizione graduale alle situazioni temute e tempi più lunghi perché l’ansia si dissolva spontaneamente.
Qual è, dunque, il segreto di questa metamorfosi? Semplice: un gesto gentile innesca un circolo virtuoso, che modifica la percezione di sé e del mondo circostante, e scioglie le distanze. La paura del giudizio altrui si stempera, lasciando spazio a una visione meno ansiogena delle reciprocità sociali. La gentilezza, dunque, non è solo un atto di altruismo, ma un vero e proprio catalizzatore di benessere, capace di convertire la paura in apertura e di rendere le relazioni umane più accessibili. E gratificanti. Lo afferma la scienza, ma ancor prima lo sa il cuore: sì, la gentilezza trasforma.
In un’epoca segnata dall’ombra persistente dell’ansia, la medicina ci indica una via d’uscita a dir poco stupefacente: la gentilezza. Un gesto elementare, di pura… umanità, ma intriso di una forza straordinaria, in grado di rimodellare il benessere individuale e di riscrivere il tessuto delle nostre relazioni. Come il loto, che emerge immacolato dal fango, la gentilezza fiorisce anche nei contesti più avversi. Spesso, è sufficiente un moto di empatia, una manciata di parole di conforto per illuminare la giornata altrui. Il cambiamento non richiede gesti eroici, ma la semplice e quotidiana diffusione della gentilezza.
Ogni atto di benevolenza è un seme che germoglia. E se tutti – come suggerisce l’illuminante saggio di De Vivo e Lumera – ci impegnassimo ogni giorno a compiere almeno tre atti gentili? Uno verso un altro essere umano, uno verso un animale e uno verso una pianta? Parafrasando lo storico detto: sarebbe un piccolo passo per noi, ma un enorme salto per l’umanità.


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Essere gentili. Non è solo questione di rispetto delle regole della convivenza civile. Da tempo, la medicina ha riconosciuto il legame indissolubile tra emozioni e salute cardiovascolare. Però il potere salutistico della “buona creanza” non si ferma al cuore: le ricerche dicono che la pratica assidua di attenzioni per il prossimo è un potente strumento per arginare la morsa della fobia sociale

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