Sono oramai molti anni che la mia vita è completamente cambiata, da graphic designer veneziana trapiantata nella «Milano da bere» degli Anni 80, ad accompagnatrice turistica e guida in India a partire dal 2011, dopo il lungo periodo milanese conclusosi nel 2010 quando mi sono trasferita stabilmente nel Subcontinente. Il secondo tempo della mia vita me lo sto vivendo decisamente bene, più rispondente al mio sentire. Sono molto più serena, complice certamente l’età che avanza, ma anche il “lavoro” che ho fatto su me stessa negli ultimi 30 anni. Certo è che la vita movimentata e all’aperto mi si addice di più che non quella seduta davanti a uno schermo dalla mattina alla sera, nella luce artificiale e con interazioni umane quasi robotiche. Uccidere la routine per non farsi uccidere da essa. Ogni giorno nuove scoperte e spesso tante risate, perché qui in India accadono le cose più buffe e la realtà spesso supera alla grande la fantasia.
Una delle cose che rende vibrante questa attività è lo scambio umano, che per alcuni versi risulta anche in una sorta di ricerca antropologica, così come un’ottima opportunità per studiare il body language delle persone, mettere alla prova varie sfaccettature del mio carattere, sperimentare i risultati di causa ed effetto, verificare nell’immediato se sto facendo bene quello che sto facendo. È anche un tornare indietro ai primi tempi in cui venivo in India, alla fine degli Anni 90. Ritrovo i miei stupori, l’entusiasmo, le perplessità, i timori, lo sconcerto, la gioia di alcuni momenti nelle tantissime persone che ho accompagnato negli anni. L’ingenuità di alcuni, i pregiudizi di altri. Riesco a comunicare bene con loro, credo, anche per questo. È impossibile, anche se ci si prepara, arrivare in India e non combinare qualche gaffe. Ho avuto modo di lavorare molto con turisti e viaggiatori provenienti soprattutto dall’Italia, persone di varie estrazioni, anche politici e diplomatici.
Questo mi aiuta molto quando devo far passare alcuni concetti, rapportandomi con persone che hanno bene o male un background comune al mio, mi riesce più facile utilizzare metafore, trovare punti di incontro e confronto, usare il linguaggio che ci accomuna per poterlo traslare più facilmente verso quello “locale”, delle cose che vedono e sperimentano. Ne ho viste e sentite parecchie, alle volte penso che dovrei prendere nota, ma poi non lo faccio mai.
Alla domanda che spesso, e giustamente, viene fatta su come comportarsi con chi chiede l’elemosina, c’è stato un periodo in cui rispondevo così: «Decisamente ai bambini io non do denaro, ma una cosa che potete fare è eventualmente dare loro, o a chi vi chiede denaro, i kit che trovate nel bagno dell’hotel. Sono cose sempre utili». Viaggiavo anni fa con un gruppo, un tour di 2 settimane. Un pomeriggio ci trovavamo in un grande spazio all’aperto, sede di un osservatorio astronomico del ‘700, premetto che per accedervi tutti pagano un biglietto d’ingresso. Io mi ero appoggiata a una ringhiera, sotto al solleone, per accertarmi che nessuno si perdesse perché, mentre la guida illustrava il funzionamento di uno strumento, avevo notato che una donna si era defilata. A poche decine di metri, seduta all’ombra su un gradino, si stava riposando e riparando una ragazza indiana con un neonato in braccio. La donna che si era svicolata dal gruppo le si è avvicinata a passo sicuro e, con voce alta e decisa, in un italiano condito da espressioni dialettali, le ha ordinato di mettere le mani a coppa. La ragazza, che peraltro aveva necessità delle mani per reggere fra le braccia il bimbo, un po’ spaventata, non capendo una parola di quello che le veniva detto, si è lasciata prendere le mani probabilmente pensando che sarebbe stato più cauto assecondare che contrastare l’esagitata sconosciuta. Così, dalla borsetta rovesciata della signora, le è caduta fra le mani una cascata di saponette e sciampini che sono poi franati sul neonato prima di atterrare per terra. La benefattrice soddisfatta, dal momento che l’equazione: DONNA SEDUTA PER TERRA CON NEONATO IN BRACCIO = MENDICANTE le era tornata, si è poi allontanata velocemente così come si era palesata, lasciando quell’altra immobile come una statua di sale. Pochi secondi dopo questa era circondata da 5 o 6 parenti tornati a riprenderla. Non posso dimenticare le loro facce da punto interrogativo di fronte al quadretto che avevano davanti, così come la mimica della giovane mentre cercava di spiegare l’accaduto senza averlo compreso lei per prima.
Un altro episodio che nulla ha avuto a che fare con il pregiudizio, ma piuttosto con tenera maldestrezza, è stato quando una simpaticissima ragazza, la sera del suo compleanno, si è lanciata ad abbracciare e baciare sulle guance il cameriere del ristorante che, non certo di sua iniziativa, le aveva messo davanti una torta con una rosa rossa. La sua spontaneità e felicità in quel momento erano contagiose, ma quando mi sono resa conto di quello che stava per fare oramai era troppo tardi per fermarla, è stata velocissima. Qui in India non si usa buttarsi le braccia al collo e baciarsi in pubblico, tanto meno fra sconosciuti, anche se sulle guance. Lui era imbarazzato e di legno, io a denti stretti e occhi a fessura. Lei, dopo che ha percepito una sorta di gelo fra i presenti, non sapeva più da che parte girarsi ed è venuta a chiedermi se aveva fatto una cosa molto grave. Alla fine abbiamo riso tutti. In effetti non è facile essere preparati su ogni fronte, specie se si viaggia in Paesi culturalmente molto diversi, ma l’importante è cercare di imparare e, credo, essere curiosi nel volerlo fare.
L’italiano in viaggio, amante dei selfie, assomiglia molto all’indiano in viaggio amante dei selfie. Un episodio divertente è accaduto qui a Delhi quando, con un codazzo di una quarantina di persone, fra porta borse, guardie del corpo e accompagnatori, mi sono recata alla visita di un monumento con un politico italiano. Le macchine blu sono entrate da un cancello laterale, nessuno entra in macchina normalmente e quel cancello è solo per queste circostanze. I visitatori che stavano percorrendo il viale a piedi si sono fatti da parte per far passare il corteo. Era chiaro che non si trattava di comuni turisti, e quando il gruppetto, con me in testa a fianco del politico, ha iniziato ad avviarsi a piedi, i visitatori indiani hanno cominciato a mormorare “VIP hain” “È un VIP”. Per non sapere nè leggere nè scrivere hanno iniziato a scattare foto con i cellulari, che tanto poi si fa sempre in tempo a scoprire chi è, oppure pazienza. Poi ovviamente è stato anche il turno di qualche turista italiano che invece, consapevolmente, non ha potuto esimersi dalla pantomima del selfie.
La cosa un giorno si è ripetuta anche al contrario. Ad Agra una ragazza italiana che era con me si è avvicinata a un diafano ragazzo straniero alto, magro, biondissimo ed eccentrico. Vestito con una serie di strati di seta e chiffon viola e gialli, sapientemente truccato fluttuava con pose e sguardi alla Eleonora Duse in mezzo a turisti in bermuda e canotta. Devo dire che questa apparizione, così contrastante con il contesto, aveva lasciato in dubbio anche me. Non sono tanto al passo con le nuove leve ed ho pensato che si trattasse di un cantante straniero di cui ignoravo l’esistenza, un più sofisticato Boy George degli anni 2000. Dopo 5 minuti di selfie in tutte le pose ed espressioni facciali fra quelle che vanno più in voga, la ragazza finalmente è rientrata in sé, così le ho chiesto chi fosse il personaggio. Non ne aveva idea, ma era sicura si trattasse di una persona famosa, quindi, per scrupolo, si era fatta fotografare con lui, che tanto poi si fa sempre in tempo a scoprire chi è (se è, aggiungo io).
E non dimenticate di tenere gli occhiali in borsa se andate a Vrindavan, lì le scimmie sono specializzate nello scippo dell’occhiale. Poi li “rivendono” ai ricettatori. Proprio un paio di mesi fa ho mandato un messaggio a delle persone che due giorni dopo avrebbero fatto un tour di Delhi con me, dovevamo metterci d’accordo. Erano appena state scippate degli occhiali da una scimmia ed ancora erano lì per decidere se ridere o piangere…
Quando ho chiesto se per caso fossero a Vrindavan sono rimaste senza parole, io non sapevo quale fosse il loro programma di viaggio. L’India…
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di Licia Grazzi - La pratica di Mindfulness ha l’obiettivo di affrontare col paziente la problematica del loro dolore cronico, modificando gli aspetti psicologici non adeguati in favore di una lenta e graduale accettazione della propria condizione fisica, talvolta immodificabile.
In cosa consiste la progressione nella pratica dello Yoga? Non certo nelle abilità del corpo ma nel saper distinguere le facoltà della mente, per poi affidarsi alla voce della saggezza.
L’assoluto è come una lampada, la quale illumina tutto, ma non viene illuminata da nulla; essa permette di vedere tutto il resto, ma nient’altro permette di vederla. L’uomo è in pellegrinaggio verso il suo ātman. In questo pellegrinaggio cerca di trovare l’unità che sottende ogni cosa e scopre, mentre procede e scopre la coscienza...
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Mario Raffaele Conti ed Edoardo Rosati non sono solo scrittori e giornalisti: compongono anche canzoni che sono lo spin-off del loro lavoro di comunicatori. Qui ci raccontano come è nato il loro terzo album, «Questa vita è il tuo racconto».
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