La vostra natura è la calma. Avete indossato una maschera di irrequietezza, ossia l’inquietudine della vostra coscienza, che trae origine dagli stimoli dei sentimenti. Voi non siete la maschera, siete il puro e calmo Spirito
Sono parole del grande Maestro Paramhansa Yogananda. Sembrano la parafrasi dei famosi primi quattro aforismi in cui Patanjali descrive, in modo cristallino, il significato della condizione di Yoga nel suo Yoga Sutra. Lo Yoga è un sentiero che riconduce all’Essere, non l’unico indubbiamente, ma per chi lo ha scelto è necessario che persegua i passi di chi quell’Essere (il Sé) lo ha realizzato davvero e ha offerto ai posteri numerose perle attraverso cui, come pollicino con i sassolini bianchi, passare con il filo della propria esistenza, per viverne il senso più profondo. Yogananda è un dispensatore infinito di sassolini, di suoni e colori (vibrazionali, non materiali) che conducono in sintonia con la propria anima.
Yogas chitta vritti nirodah, afferma il saggio rishi, il cui significato del nome suona, più o meno, come “benedizione caduta dal cielo”. La condizione di Yoga, sopraggiunge quando il flusso dei pensieri si attenua fino allo spegnersi, a non creare files su files dove uno innesca l’altro. Poi continua; allora il Sé si manifesta, altrimenti siamo vortice, più o meno frenetico, di turbolenze e ripetizioni. Ma quindi c’è la possibilità di vedere davvero chi siamo e cosa ci circonda?
Calma! Perché se l’intenzione di “osservare davvero” piuttosto che “fraintendere” è un punto di partenza ottimale, il cercare di farlo a tutti i costi, non farebbe altro che offuscarne l’avvento.
Calma, perché chi ha percorso come un pioniere la via della risalita alla sorgente del Sé, non ha avuto come compagni la comodità, il benessere smodato, la pigrizia o l’incostanza.
Calma, perché tutto quello che la modernità propone ha bisogno di una importante scrematura, per ciò che riguarda i sentieri spirituali.
Calma, perché se lo Yoga viene definito “per tutti”, è evidente che, se così lo fosse nella sua esperienza totale, nonostante l’apparente facilità di approccio, nonostante gli oltre 300 milioni di praticanti nel mondo (dati 2023, una massa critica di coscienze elevate di questo genere avrebbe stravolto l’umanità), allora come mai continuiamo a brancolare nell’incoscienza dell’odio e del conflitto ovunque?
Calma, perché, è proprio la fretta che distoglie dal presente.
Calma, perché laddove sorge immotivata questa esperienza, là siamo noi.
Calma, perché questa parola racchiude in sé molto più di ciò che sembra se viene definita da Yogananda stesso, un’altra qualità dell’anima. Abbiamo parlato recentemente dell’Amore.
La calma in questione non è però la conseguenza di un evento quieto o di un appagamento, bensì dello spogliarsi dal frastuono dell’inessenziale e dal capriccio dell’insofferenza. È la luce della vita interiore che affiora sotto la turbolenta cenere della reattività disinnescata. Non un ennesimo vestito buonista sorridente che nasconde l’irrequietezza. Coltivare la calma non significa stare a tutti i costi lontani dalle difficoltà, anzi! La calma è un motore dinamico con cui intraprendere i viaggi più importanti, le sfide più ardue. È la dinamo che innesca e sostiene lo stato intuitivo, l’Amore incondizionato. Quale consapevolezza può emergere da una mente irrequieta?

Ciò che nasce dalla calma ha radici già stabili. È nella calma che si manifesta il fondo dell’oceano, mentre l’apparenza della superficie può mostrare increspature e cavalloni. Ma l’essenza del mare è nel profondo, come quella del nostro Sé. Lo Yogi, il sadaka, il praticante, non cerca a tutti i costi un luogo per vivere la calma, affondando così nell’innesco della ricerca del proprio piacere, anche se a volte è necessario ritirarsi lontani dal frastuono perché l’ambiente è così travolgente che rischia di perdersi. Poco male, il perdersi risveglia la coscienza del cammino, non della sconfitta, anzi, ci aiuta mantenere il profilo basso e a non sentirci arrivati da nessuna parte. Non cerca la calma esterna, chi vive il sentiero della ricerca, ma, immobile nel silenzio interiore, riscopre, in qualunque condizione e/o luogo, l’esperienza di una delle facce del diamante chiamato anima, appunto, la calma.
È la calma che ci accompagna verso la gioia, non l’euforia di un entusiasmo destinato ad un picco e ad una veloce successiva discesa. È la calma che accompagna i lunghi nove mesi di gravidanza. È la calma che nel famoso detto, rende il forte virtuoso. È la calma che osservi nell’azzurro del cielo. È la calma che impedisce al grano, fonte di vita, di ghiacciarsi perché attende il disgelo per germogliare. È la calma che mantiene saldo l’intento nello yoga. È la calma che appare quando in asana interrompiamo la tensione, che al termine di un pranayama adeguato, non indotto dalla prestazione, emerge dall’orizzonte al centro fra le sopracciglia. In quella calma, allora, possiamo immergerci e ritrovare casa. Abbandonarci come un fiume che si getta nel mare. Un’esperienza di dharana incondizionato.
La calma non è una dote di qualcuno, è lo stato creativo che accompagna l’Amore nella creazione. È la lampada con cui illuminare i pregi quando i difetti di cose o persone sembrano così evidenti, eppure se lo sono ci riguardano. Con la luce della calma espanderemo nell’altro e in noi qualità e talenti. La calma è la lama con cui recidere la corda che ci lega alle abitudini, verso la libertà dal torto e dalla ragione. Liberi da condizionamenti e identificazioni. È lo specchio su cui si riflette la chiarezza interiore, e – dicono i grandi maestri – in quella chiarezza si esprime il volto dell’Assoluto. La calma è il pentagramma su cui il respiro silente tinge le note della vibrazione dell’Aum.

Questo articolo è apparso su Yoga Journal nella rubrica La mia pratica e lo ripubblichiamo qui per gentile concessione del direttore Guido Gabrielli. Abbiamo scelto Francesca Alinovi perché il suo gruppo, i Lovesick, sta mietendo successo ovunque. Francesca trova tutta la potenza del suo contrabbasso nella pratica di meditazione buddhista e di yoga. Ecco il suo racconto.

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