Sono giorni che mi interrogo sul senso della vita. Non “che senso ha vivere”, perché lì sarebbe facile per me rispondere: “Per amare, per conoscere, per ridere, per cercare di fare del bene, per farsi perdonare il non-bene, per sperare, per progettare, per fare all’amore, per cucinare, per suonare, per ascoltare jazz e Bob Dylan e Taylor Swift…”.
No, mi interrogo sul senso che ha la nostra, la mia, vita in rapporto all’Universo, ai milioni di anni passati e futuri, alle galassie e ai buchi neri. Qual è il senso del vivere?
A lungo ho pensato che avrei almeno dovuto lasciare qualcosa, un libro, una canzone, un pensiero. Poi ho fondato un giornale, scritto tre libri e inciso tre dischi e ho capito che tutto questo non poteva essere il senso. Quante canzoni, poesie, libri, lettere sono stati scritti nella Storia? Una lettera dal fronte all’amata o al genitore, i versi di Rijlke, le serenate di miliardi di innamorati, i gesti e i sacrifici di miliardi di santi sconosciuti inutili per le chiese di tutte le religioni.
L’altro giorno mi è arrivata una mail dal Center of Spiritual Awareness, il centro fondato da Roy Eugene Davis, il meno famoso “profeta” del Kriya Yoga di Yogananda. Era uno di poche parole, ma profonde. Una settimana prima che morisse a un’età ragguardevole, in ospedale sofferente, aveva accettato di fare un’intervista con me on line. Una settimana dopo mi è arrivata la notizia della sua scomparsa e questa cosa mi ha fatto molto riflettere e ha stabilito un legame profondo con quest’uomo buono.
Scriveva il signor Davis (non un monaco, ma un semplice papà, nonno, marito): “Sei venuto in questo mondo dallo spazio profondo e interiore e ad esso alla fine tornerai”. E qui c’è già un cambio di prospettiva, un tempo infinitamente più grande rispetto a quello che noi chiamiamo “vita”.
“Non sei venuto qui semplicemente per esistere per qualche decennio e soddisfare bisogni mondani, godere di alcune relazioni personali finché durano, lottare per sopravvivere, affrontare problemi ed eventi casuali”. Ok, questo è chiaro a molti che hanno doppiato i 60 e capiscono che non sono eterni. Ci deve essere qualcosa in più: ma cosa?
Dice, il signor Davis, non puoi andartene “senza essere consapevole della tua vera natura, del tuo rapporto con l’infinito“. Anche qui potremmo obiettare che è un pensiero vago quanto l’infinito; e quale può essere il mio rapporto con l’Infinito, scritto con la maiuscola?
Cominciamo a dire che l’Infinito è il nome “meno nome” che possiamo dare al divino: Dio, Allah, Jahvè o Zeus, quelli sono tutte maglie di diverse squadre che non descrivono nulla. Tutti quei nomi sono racchiusi nel nome “Infinito” che comporta la nostra umiltà nel sapere che non sappiamo. Siamo circondati da presuntuosi e arroganti che ti spiegano come dobbiamo vivere, invece noi sappiamo che loro e noi “non sappiamo”. E anche quello che conosciamo è infinitesimale rispetto al know-how della nostra materia. “Infinito” è un atto di consapevolezza agnostica che non esclude la fede e l’abbandono a questo Infinito.
Ma cosa vuol dire rapportarsi con questo Infinito? Spiega Davis: “Sei qui per relazionarti abilmente con l’ambiente fisico, migliorare le tue capacità intellettuali e funzionali, vivere in modo efficace con uno scopo ben definito e risvegliarti rapidamente attraverso le restanti fasi della tua crescita spirituale”.
Esistere con un obiettivo che comporta il meglio che possiamo essere e vivere: dare il meglio possibile di sé, fare il meglio per l’ambiente (da quello casalingo a quello terrestre), conoscere e studiare sempre e mantenerci in forma, mangiare cibo sano e muovere il nostro corpo, ma provare ad arrivare al risveglio, o al massimo del risveglio possibile, attraverso un percorso di crescita personale. Vedete, non parla di fede, di precetti, di religioni. Dice qualcosa di simile: “Costruisci ospedali in Africa, ma non dimenticare di risvegliarti perché la prima cosa è straordinaria per gli africani, la seconda è imprescindibile per te”.
Trovo tutto questo estremamente e meravigliosamente poetico. Allora il senso della vita non è collezionare Rolex e successi, non è diventare famosi per 15 minuti come diceva Andy Warhol, ma è scendere nel profondo e scoprire chi siamo veramente e lasciare che il Sole entri nel nostro essere e lo inondi di bellezza mentre noi ci abbandoniamo all’Infinito.
È sentire il nostro cuore e quello dell’Infinito nella Storia e nel futuro, battere senza soluzione di continuità e senza il giogo del tempo, all’unisono.
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