La rivoluzione copernicana dello yoga di Patanjali sta nel fatto che, pur essendo una via spirituale – nel senso che pensa al bene dell’uomo e più in generale dell’umanità – non genera né favorisce i sensi di colpa alle donne e agli uomini che la percorrono. O almeno non dovrebbe provocarli. Nel quinto sutra del primo libro, è scritto: «Ci sono cinque tipi di stati mentali mutevoli e questi sono nocivi o non nocivi». Si chiamano vritti, in sanscrito: conoscenza corretta, conoscenza errata, immaginazione, sonno profondo e memoria).
La forma ha sempre un senso e dice molto più delle parole: non viene nemmeno nominato l’essere vivente, sono nominati i cinque stati mentali mutevoli, delle condizioni che si creano a prescindere nella nostra mente. Lo ripeto sempre, noi non siamo i nostri pensieri, i nostri pensieri sono come nuvole che compaiono nel nostro cielo e sta a noi, volontariamente o per negligenza, gestirli. Perché, prima ancora che alle cose materiali, ai gioielli come ai nostri oggetti, l’attaccamento primo dell’uomo è nei confronti dei “pensieri che arrivano nella testa”, come si dice comunemente.
Ebbene, avete sicuramente sentito dire che «meditazione» vuol dire smettere di pensare, ne parlavo quale settimana fa con amici che hanno sentito la stessa cosa. Niente è più sbagliato. Anche perché ci dice Yogasutra che non tutti i pensieri vengono per nuocere, che ce ne sono alcuni nocivi e altri non nocivi. Quindi smettere di pensare sarebbe quasi un delitto. A che pro? A parte il fatto che è impossibile, che è come smettere di respirare: come quando si smette di respirare non siamo più in vita, così, finché siamo in vita, fino all’ultimo istante avremo dei pensieri che affollano la nostra mente, delle paure delle sofferenze, delle illusioni, dei ricordi, delle speranze.
Le vritti sono il destino e la natura dell’uomo e con quelle è necessario farci i conti. Ma ci sono i pensieri non nocivi (aklista), che sono nati dal discernimento e smettono di esistere quando è avvenuta la liberazione interiore, quella prospettata da Yoga. E ci sono i pensieri nocivi (klista) che sono causati dai cinque ostacoli della pratica dello yoga, le cinque cause della sofferenza, i klesa: ignoranza, identificazione con l’ego, attaccamento, avversione e ricerca del piacere esagerata, paura della morte. Queste cinque condizioni sono quelle che provocano tutte le sofferenze psichiche, comportamentali, relazionali della nostra vita.
La parola klista ha come radice KLIS che significa turbare o tormentare. Vi ci ritrovate? E cosa accade quando questi tormenti, questi turbamenti vengono accolti, perché spesso non si può fare altro che accoglierli e o subirli? Accade che vanno a depositarsi nel nostro inconscio, nel subconscio e vanno a influenzare le risposte comportamentali ed emotive del nostro vivere. Tutto questo forma il famoso karma, quel lavorio (la radice KR significa proprio lavoro) che nasce da un’azione.
Da un’azione nasce una reazione, che non è sempre punizione, dobbiamo uscire anche dal concetto cattolico, se fai una cosa brutta ne riceverai un’altra. Puoi anche non essere punito se rubi al tuo vicino, ma i frutti dell’azione si depositano in un non-luogo che finisce per determinare le nostre azioni future e a pioggia tutto ne viene intaccato. A meno che si rescinda il legame con quel pensiero. Cosa non semplice. È per questo che pratichiamo, seppure con alterni risultati.
Dice un eminente studioso americano che ogni vritti lascia una copia su citta (la coscienza, il complesso mentale) prima di svanire come un’immagine su una pellicola. Le azioni, tutte le azioni, generano il famoso samskara, termine che avete probabilmente già sentito e che altro non è se non un deposito di karma. Il samskara agisce come nei film di spionaggio in cui i killer vengono programmati per uccidere con l’ipnosi e vengono attivati da una parola apparentemente innocua: quando accade qualcosa che richiama un’esperienza, i samskara vibrano come cobra e inducono vritti e comportamenti non adeguati al caso, ma che sono influenzati da accadimenti antichi.
Lo spiega bene Vyasa: «Le vritti si registrano in citta come samskara che poi si attivano in maniera subliminale e generano altre vritti». Il compito dello yoga è di interrompere questo cortocircuito, interrompere le latenze, generare un comportamento virtuoso fino al punto di bloccare questi samskara e arrivare a osservare la pura coscienza. Questo è possibile attraverso i pensieri nobili, non nocivi che saranno gli ultimi a essere eliminati nello stato di meditazione.
E finisco per chiarire con un passo della Katha Upanisad: Naciketas (VI Canto):
Il fermo dominio dei sensi lo chiamano yoga. L’uomo allora non è più turbato: yoga infatti è principio di una nuova vita e fine dei turbamenti determinati dal mondo esterno.
Non dalla parola, né dalla la mente né dall’occhio può Egli essere raggiunto. Come, allora, può Egli essere percepito se non esclamando: “Esso è”?
Soltanto con le parole “Esso è” può essere percepito, quando s’abbia la conoscenza della sua vera natura. La sua vera natura risplende quando sia percepito con le parole: “Esso è” .
Quando tutti sono acquietati i desideri che sono nel cuore, allora il mortale diventa immortale: qui in terra si gode del Brahman.
Quando qui sulla terra tutti i legami del cuore sono infranti, allora il mortale diventa immortale. Questo è l’insegnamento».
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