Nel nome della libertà, il fact-checking (cioè la verifica dei fatti) di un famoso social network è stato sospeso. Ora chiunque potrà raccontare la propria verità e nessuno saprà più se è vera o no. La verità non vera. Una contraddizione in termini. A cominciare dalla parola «verità». Ne ho già scritto, il concetto di verità è difficile da sostenere, come quello di «normalità». Chi stabilisce cosa è normale e cosa no? Normale è quello che ho nella testa io? O che la pensiamo tu e io e i nostri amici?
Dovremmo sostituire la parola «normale» con la parola «conforme all’epoca», «usuale», «socialmente accettato». All’epoca dei greci l’omosessualità era “normale”, cioè usuale, 18 secoli dopo Oscar Wilde è stato imprigionato per le sue inclinazioni naturali (sì, in natura esistono diverse inclinazioni) e oggi ci sono governi che perseguitano i gay e giovani che si prendono per mano vengono massacrati di botte. Chi è “normale”, il gay o quello che lo picchia? Capite che la parola «normale» sarebbe da abolire.
Allo stesso modo dovremmo parlare di «realtà» e non di «verità» quando leggiamo qualcosa: la realtà, lo sappiamo, ha molte sfaccettature, ma se una mela cade per terra, possiamo discutere su come è caduta e cosa ha colpito, non sul fatto che è caduta. Quello è reale. Il reale non esprime un giudizio. E lascia spazio al dubbio.
Ecco, già meno di una decina di anni fa venne coniato il concetto di «post-verità». In pratica qualsiasi sciocchezza, anche che gli immigrati che vivono a Springfield, Ohio, «stanno mangiando i cani, stanno mangiando i gatti, stanno mangiando gli animali domestici delle persone che vivono lì», è plausibile se non vera. L’uomo che ha pronunciato questa fandonia – sapendo che era una fandonia – è diventato l’uomo più potente del mondo.
Qui non stiamo parlando di destra e di sinistra, la politica non ci interessa, ci interessano le modalità di comunicazione. Chi la spara più grossa vince. Chi la spara più grossa (atteggiamento tipo trumpiano) ha ragione; «non facciamo niente perché c’è il rischio che» (atteggiamento tipico di sinistra); «sicuramente ci nascondono qualcosa» (atteggiamento tipico populista e cospirazionista). Non si salva nessuno, è diventato costume.
Anche il fact-checking è diventato una lama a doppio taglio perché il metodo viene adottato anche nell’analisi delle dichiarazioni evidentemente false. E quindi il social non fanno più fact-checking. È valido tutto e questa torre di Babele di opinioni di chiunque, questo vociare-social che ha sostituito i bar e i gruppi di pensionati agli angoli delle piazze che «mettevano a posto il mondo», sta prendendo il potere delle menti. L’ignoranza ha preso il sopravvento con la supponenza e la prepotenza che è proprio degli ignoranti che tutto credono di sapere pur non avendo studiato niente.
Noi in questo giornale pensiamo che avere cultura sia «sapere di non sapere» e per questo studiamo e quando abbiamo appreso un concetto, una notizia, un fatto, lo riportiamo con onestà intellettuale. Sapendo che la realtà ha mille facce, ma che il punto di vista di chi spende la sua vita a studiare i testi seri, la tradizione, a consultare ricerche e libri, a incontrare persone competenti e gente comune con storie da raccontare, questo punto di vista ha in sé il seme dell’onestà intellettuale. Noi vi offriamo questo. Al rischio di qualsiasi fact-checking.
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Su questo web magazine non vendiamo né «verità» né «post-verità». Crediamo nel dubbio e studiamo perché «sappiamo di non sapere» e doniamo solo «punti di vista»: questa è la nostra cifra, al netto di qualsiasi contraddittorio
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