«Ma qual è questo ātman presente in ogni cosa?». Questa una delle prime domande di carattere pre-filosofico che animano le Upaniṣad più antiche e che daranno vita alla prima disciplina della Yoga come tecnica contemplativa. La non dualità recitata nelle scritture è solo il riconoscimento di una verità ultima che può accadere solo vivendo pienamente la dualità della nostra realtà esistenziale. È inutile predicare la non dualità senza realizzarsi nella dualità, questo può divenire inutilmente frustrante. Per questo tutti fanno yoga e continuano a essere più frustrati di prima e continuano a cambiare stili, metodi senza prendersi la responsabilità della propria situazione realtà esistenziale.
Senza scomodare Nāgārjuna o le successive scuole kaśmire del tantrismo non-duale, già 1.000 anni prima, le Upaniṣad davano indicazioni sulla concezione di questa conoscenza chiamandola «La Via Ascendente» o «brahmajñana», la conoscenza dell’identità ātman/brahman. Semplicemente, l’identificazione della nostra realtà individuale con la realtà oggettiva universale. Questa strada di conoscenza diventa il nostro pellegrinaggio.
L’uomo è in pellegrinaggio verso il suo ātman. In questo pellegrinaggio cerca di trovare l’unità che sottende ogni cosa e scopre, mentre procede, lo strumento impiegato in questa ricerca: la coscienza. L’unità e la coscienza sono i due punti di riferimento lungo la Via della contemplazione che lo yoga ci indica per raggiungere questo stato naturale di integrità che non è altro che lo stato meditativo yogico: «ekam evādvitīyam» (uno, senza secondo).
La liberazione dal ciclo delle rinascite prevede uno stato di coscienza. Questo stato ci permette di non alimentare ulteriormente le sofferenze future. Questo stato si acquisisce con la pratica dello yoga portando la lucidità necessaria per agire «senza attaccamento ai frutti delle azioni», liberi dai condizionamenti e aderenti alla nostra vera natura (svadharma). Ma questo non eviterà di smaltire le sofferenze passate, accumulate con le azioni precedenti, che prevedono un loro decorso naturale sul quale non possiamo intervenire e che alimentano proprio la dualità nella quale viviamo. Proprio la consapevolezza della dualità ci porterà alla non dualità della realtà ultima.
Verso l’uno.
«Allora Uṣasta discendete di Cakra disse:
«Parlami veramente di quella che è l’essenza presente in ogni cosa, ossia del brahman visibile e direttamente percepito».
«È il tuo ātman quello che è presente in ogni cosa».
«Ma qual è Yajñavalkya, questo ātman presente in ogni cosa?».
«Tu non puoi vedere chi è causa della vista, non puoi ascoltare chi è causa dell’ascolto, non puoi pensare chi è causa del pensiero, non puoi conoscere chi è causa del conoscere. Questo è il tuo ātman presente in ogni cosa. Al di fuori di esso non c’è che dolore. Quello sei tu, “tat tvam asi”».
Allora tacque Uṣasta discendente di Cakra».
(Brhadāranyaka Upaniṣad, III.4.2 – traduzione di chi scrive)
In questo brano Yajñavalkya (Yajñavalkya si pensa sia uno dei primi filosofi indiani che venivano citati nelle Upanişad; personaggi misteriosi tra mito e realtà) enuncia il principio definitorio dell’assoluto: da esso tutto dipende, esso non dipende da nulla. Secondo un’immagine che diverrà un topos della letteratura filosofica, l’assoluto è come una lampada, la quale illumina tutto, ma non viene illuminata da nulla; essa permette di vedere tutto il resto, ma nient’altro permette di vederla. L’assoluto dunque non può essere oggetto del pensiero, perché ciò che è pensato dipende da pensante.
Solo l’uno può essere la verità ultima, solo la dualità può essere la nostra realtà esistenziale. Allo stesso tempo, nessun dualismo può soddisfare la mente e il cuore umano. Questa unità è di natura non-duale, che però si esprime attraverso la dualità proprio per permetterci la liberazione.
BIBLIOGRAFIA (consigli)
• Tucci, Storia della filosofia Indiana, Laterza.
• Franci, Studi sul pensiero indiano, Università di Bologna.
• Piattelli, Śankara e la rinascita del brahmanesimo, Fossano 1974.
• Upaniṣad antiche e medie, Filippo-Ronconi, Bollati Boringhieri.


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