Sono Paola Campanini, nonna di 5 nipoti, ho svolto la professione di assistente sociale e ora sono in pensione. Vivo a Parma dove ho fondato l’Associazione Millepiedi che conduco con Beatrice Zani. Insegno yoga dal 1995, ho iniziato giovanissima ed è stato molto semplice: la mia prima insegnante Gabriella Ferrari aveva così tante richieste che per consentire a tutti di partecipare faceva condurre i gruppi di principianti ai suoi allievi più bravi. Era abbastanza facile allora insegnare perché la lezione era sempre uguale, la serie di Rishikesh, una sequenza bella tosta che come riscaldamento prevedeva il Saluto al Sole, sempre in un numero di ripetizioni multiplo di due (a volte se ne facevano anche 36!), seguiti dagli asana più impegnativi dello yoga classico.
Naturalmente l’esperienza pratica di insegnamento era sostenuta dalla formazione. In quegli anni grazie a Gabriella Ferrari abbiamo potuto seguire i seminari estivi di André Van Lysebeth, venuto a Parma più volte assieme alla moglie Denise; oltre a loro nel centro yoga di Parma sono venuti prestigiosi Maestri indiani, incontri preziosi che hanno lasciato semi profondi. Nel 1980 ho incontrato Gabriella Cella, la Maestra che ha ideato lo Yoga Ratna, un metodo che mi ha incantato perché ha le basi nello yoga classico ma sviluppa in particolar modo l’aspetto simbolico dello yoga. Uno yoga laico e non dogmatico, accogliente e semplice, che può entrare nella normale quotidianità di tutti.
Proprio questo concetto di normalità per me è molto importante anche riferito all’essere insegnante di yoga. Da qui infatti conseguono due convinzioni profonde.
La prima è che lo yoga non dovrebbe mai essere una professione. Lo dico rispettando chi fa altre scelte, ma per me avere un lavoro, misurarmi con le gerarchie, le criticità organizzative e quelle delle relazioni lavorative è stata la vera palestra. Il lavoro: un tappetino molto difficile che quotidianamente mi chiedeva una prova di coerenza.
La seconda convinzione l’ho maturata con il tempo, ed è quella di non essere indispensabile per nessuno, più che mai come insegnante di yoga.
Questi due aspetti portano con sé grandi libertà, quella economica e quella nella relazione con gli allievi.
E così nella mia vita ho potuto lasciare la veste di insegnante di yoga con molta tranquillità varie volte. Ho smesso di insegnare per tre anni quando avevo i figli piccoli. Un periodo di grande stanchezza fisica in cui avevo bisogno di tempo di recupero per me: sono tornata con gioia dall’altra parte del tappetino.
Ho poi insegnato per tantissimi anni. Avevo un gruppo che mi seguiva da molto tempo, ho capito che tutto quello che potevo trasmettere lo avevo fatto e che la lezione era diventata un modo per praticare insieme, certo piacevole per tutti, ma che limitava l’ orizzonte dei miei allievi. In questo caso è stato un po’ più difficile lasciare, mi sentivo un po’ in colpa nell’abbandonare il gruppo, ma il risultato è stato straordinario nella sua semplicità. Tranne una persona, hanno tutti continuato la pratica yoga alla Millepiedi con altre insegnanti, ma parecchie allieve hanno iniziato un percorso di formazione e sono diventate delle brave insegnanti. Prendendo strade diverse, chi ha seguito lo yoga Ratna, chi scuole dell’Isyco, chi Antonio Nuzzo, un mio allievo ha scelto la scuola di Ashtanga yoga di Pattabhi Jois. Hanno spiccato il volo.
Ho continuato a insegnare ripartendo con un gruppo di principianti. Con gli anni non solo cresceva la mia esperienza di insegnamento, ma anche inevitabilmente, la mia età e alcuni acciacchi.
Penso che sia molto importante trasmettere in modo autentico quello che si è, ciò che si sperimenta e che cosa caratterizza in quel momento il percorso personale. Alla fine di una lezione due anni fa ho percepito in modo chiaro che avevo proposto una pratica adatta a me, ma non al gruppo. E che non volevo condurre lezioni pensate ma non sentite. Che il mio corpo aveva bisogno di pratiche dolci, quasi impercettibili. Che avevo trasmesso quello che potevo e soprattutto che non volevo più “insegnare” nulla.
Di nuovo era il momento di lasciare. Lasciare che fossero le altre insegnanti della Millepiedi, giovani, meno esperte, ma piene di entusiasmo, a prendere il testimone. Questa volta è stato un andare felicemente “in pensione”. Riscoprendo la bellezza di una pratica personale che si trasforma ogni giorno per sostenermi nel pezzetto più critico della vita.


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