La Maverick Concert Hall (foto per gentile concessione).
La Maverick Concert Hall è un edificio rettangolare simile a un fienile, costruito nel 1916 in un bosco, nei pressi di Woodstock (New York). La costruzione in legno e l’acustica creano un ambiente adatto all’intimità della musica da camera dal vivo, infatti da oltre 100 anni la sala concerti ospita, un festival estivo di musica da camera.
Nel tardo agosto del 1952 il pubblico in sala era incuriosito dal programma che prevedeva una nuova opera di John Cage, in cui in qualche maniera sarebbero stati co-creatori dell’opera stessa. Un giovane pianista di 26 anni David Tudor (che sarebbe diventato nel corso della sua vita professionale, un eminente pianista e compositore d’avanguardia), salì sul palco e si mise al pianoforte. Per 4 minuti e 33 secondi non emise nessun suono. Seduto, impassibile e concentrato, voltò le pagine dei tre movimenti. Lo spartito istituzionale dà istruzioni all’esecutore di non suonare nulla (tacet) per tutta la durata del brano. Il primo movimento dura 30 secondi, il secondo 2 minuti e 23 secondi e il terzo 1 minuto e 40 secondi. Il brano passa alla storia con il nome 4’33”, soprannominato il «brano muto».
Le cronache dell’epoca riportano che durante il primo movimento si sentì un leggero vento soffiare sulla sala, mentre durante il secondo movimento l’ambiente si arricchì anche della sonorità di qualche goccia di pioggia che picchettava sul tetto di legno. Durante il terzo il pubblico cominciò a rumoreggiare di nervosismo attendendo la fine del brano per esternare il suo disappunto.
John Cage, allora quarantenne, era già conosciuto per le sue esposizioni sonore e nella ricerca di avanguardia, al limite del radicale e provocatorio per i tempi. Ma mai privo di una verve tenacemente curiosa e umoristica. Il suo interesse verteva, sui suoni, sugli spazi sonori, sulle strutture di notazione musicale alternative come strumenti creativi; era quasi completamente disinteressato alla dimensione armonica e melodica della musica.
La sua fascinazione artistica musicale si affiancava ai movimenti artistici dadaisti e surrealisti e comunque sempre votata all’innovazione ed esplorazione: «Non comprendo come le persone possano essere spaventate per le nuove idee, io sono spaventato da quelle vecchie», diceva.
Già nel 1938 si fece notare per l’elaborazione di alcuni brani con un “piano preparato”: doveva scrivere in pochi giorni una composizione per un balletto Bachanale in un teatro con uno spazio ristretto dove non c’era posto per orchestra e né percussionisti. Solo un pianoforte. Quindi si ingegnò a far risaltare le qualità percussive dello strumento inserendo tra le corde del pianoforte viti di legno, dadi, forchette, gomme da cancellare.
Il progetto fu raffinato negli anni a venire fino a comporre tra il ’46 e il ’48 Sonate e interludi, un ciclo di 20 composizioni musicali per pianoforte preparato. Nonostante le istruzioni dettagliate, qualsiasi preparazione del piano era destinata a essere diversa dalle altre e lo stesso compositore suggerì come non esistesse un piano rigoroso cui aderire: «Se ti piace suonare le Sonate e interludi, fallo in modo che sembri giusto per te». L’effetto all’orecchio odierno può sembrare straniante, ma di fatto anticipa di quasi 30-40 anni quello che si sarebbe sviluppato attraverso la computer music.
Ma torniamo per un momento al sentimento del pubblico in sala del lontano agosto del 1952. Quel rumoreggiare innervosito, quasi fossero stati presi in giro. Una reazione umana naturale di fronte allo squarcio di un mistero. Quello che accadde in realtà fu una tonante risposta ad una sorta di koan Zen: «Cosa è suono?».
Una di quelle domande paradossali che cadono al di fuori delle abituali proprietà cognitive logiche e aprono con un senso di vertigine a una nuova realtà, senza nessun appiglio a portata di mano. Questa era musica per John Cage. E a differenza delle composizioni progettate per far sparire il mondo esterno, per trascenderlo, ecco una musica che ha aperto il mondo attuale reale. Ecco la musica che musica non era mai stata considerata – rumore, silenzio – e che fa crollare ogni barriera tra musica e realtà esterna.
Tra suoni progettati e organizzati e suoni in sé, tutto era in linea con la visione del mondo Zen di Cage, che enfatizzava il potere dell’esperienza non mediata e la percezione diretta di ciò che Cage chiamava «l’essere» della vita. «Fino alla morte, ci saranno suoni», ha scritto Cage, «e continueranno dopo la mia morte. Non è necessario temere il futuro della musica».
Qualsiasi suono può verificarsi in qualsiasi combinazione e in qualsiasi continuità. Non ci resta che prestare attenzione con curiosa fiducia a questo irripetibile concerto sonoro che si dipana attorno a noi in questo momento.
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