Da oltre un milione e mezzo di anni immettiamo dati in noi e da lì ripeschiamo. Ma l’intelligenza artificiale non potrà surrogare il cuore intimo del nostro esistere.
Ventitre secoli fa, una voce decisamente eminente in fatto di ricerca, studio ed esperienza nell’umano in ogni sua sfaccettatura, Platone, nel Fedro, attraverso il mito di Teuth e per voce di Socrate, segnalava il pericolo dell’avvento della scrittura. Il mito ha luogo in Egitto, dove il dio Theuth, inventore della matematica, della geometria, dell’alfabeto e della scrittura, elogia quest’ultima davanti al re egiziano Thamus. Secondo il dio, la scrittura renderà gli egiziani più sapienti e aumenterà la loro memoria. Il re, però, non è d’accordo con il dio. Pensa che gli studenti non possano avere conoscenze senza l’insegnamento orale del maestro.Attraverso la scrittura, secondo il re, non si avrà mai la conoscenza, ma l’arroganza del sapere e sarà impossibile arrivare alla verità. Fedro condivide le idee del re e Socrate elogia il discorso, rilevando gli aspetti negativi della scrittura. Per il saggio re l’utilizzo della scrittura sarà causa di un non esercizio della memoria, la quale si atrofizzerà.Insomma, l’invenzione che oggi ci permette dopo migliaia di anni di poter comunicare e ampliare la nostra conoscenza (anche se in parte intellettiva), per Platone, ha in sé il limite di addormentare, per così dire, la possibilità di far vivere il ragionamento e la fertilità del pensiero condiviso nel dialogo. La scrittura, nel poggiare su segni prestabiliti le parole, le sterilizzerebbe.
Diciamo che questo mito è straordinariamente affascinante, e in parte potremmo anche dire veritiero, ma lo trovo abbastanza estremo. Se abbiamo memoria di quei tempi in cui Socrate venne eliminato per la sua immensità di approccio alla vita, all’etica, all’animo umano, alla verità, lo dobbiamo ai testi che lo hanno portato fin qui, nelle nostre case. Tutto questo per dire che anche nelle menti più eccelse, a volte, serpeggia il timore dell’arrivo del nuovo. Del cambiamento.
Sarà che è innata in noi la paura della morte (Abhinivesa nello yoga), e i cambiamenti spesso vengono recepiti come una transizione luttuosa, ma è certo che facciamo grande difficoltà ad accogliere le novità. Ricordo che mio padre, classe 1926, diceva che la gente, nei primi Anni 50 aveva paura di tenere la televisione. Nel ‘800 si diceva che la fotografia sarebbe stata la morte della pittura. L’elettricità era un pericolo al suo avvento (che poi detto da chi all’epoca viveva con la luce a gas…). Anche la ruota sarà sembrata un azzardo per qualcuno 5.000 anni fa. Ci sarà stato chi l’avrà pur trovata un trabiccolo ingovernabile in confronto ai propri piedi. I miei nipoti non sanno cos’è un telefono con la rotella, eppure io lo ricordo come fosse ieri. In vecchie storie di fantascienza si ipotizzavano apparecchi video portatili con cui si parlava a distanza, credendolo fantasia da robot. Ora non viviamo più senza il nostro apparecchio video portatile. Eppure all’inizio, che difficoltà per molti.
Tutto viene osteggiato finché non diventa di uso comune. Pure le più grandi intuizioni vengono boicottate fino a passare dalla condanna all’acclamazione. All’unanimità. Ovvio che doveva accadere anche con l’argomento del momento: «L’Intelligenza Artificiale».
I giovanissimi la osannano nell’utilizzo scolastico, altri la temono come il male assoluto. Qualcuno la guarda da dietro un angolo, come a scrutare il momento per dire “te l’avevo detto che sarebbe successo!” oppure per temporeggiare in attesa che se ne capisca qualcosa di più. Intanto la tiene d’occhio.
Personalmente credo che non ci sia alternativa all’accoglienza di qualunque evento accada. Ci accada. Qualunque. Per cui, A.I. per quanto mi riguarda, sei la benvenuta. Anche perché la sento una specie di sorella minore. In fondo, se ci analizziamo bene, per certi versi, un po’ Intelligenza Artificiale lo siamo tutti, se non stiamo attenti, molto più di «un po’». Non siamo forse un agglomerato di informazioni raccolte qua e là a seconda di ciò che ci è stato detto sin da piccoli? L’istruzione e la crescita spesso sono un insieme di nozioni acquisite, a nostra insaputa a volte, che vengono via via ripetute a scopo utilitaristico. Per ottenere un voto a scuola per esempio. Ottenuto il quale, il materiale ingurgitato dalle nostre sinapsi, viene automaticamente spedito nel dimenticatoio. Salvo poi essere ripescato dall’oblio attraverso meccanismi della memoria, che riassemblano ciò che gli serve per ottenere risposte attraverso la ricomposizione di informazioni immagazzinate, che altri, o l’osservazione e la catalogazione dell’esterno, ci hanno fornito. Poi qualcuno ci fa una domanda e noi rispondiamo come fossimo Siri, con le informazioni inserite in noi da altri, colorandole un minimo, e ci sentiamo dei grandi creativi. Insomma siamo o non siamo un modello antico di A.I.?
Da oltre un milione e mezzo di anni, dalla comparsa dell’Homo Erectus, abbiamo cominciato a immettere dati in noi. E da lì ripeschiamo. Un certo tipo di intelligenza è riproducibile da diversi decenni. L’uomo, vittima dei propri automatismi, cerca da sempre di automatizzare tutto. Di alleggerire se stesso da compiti replicabili da macchine, e, parte dell’umanità da sempre si lamenta di questo, fino ad accorgersi, poco tempo dopo, che non era possibile fare altrimenti e, per molti versi (quasi tutti), le cose sono migliorate, dopo un primo momento di trasformazione dello status quo.
Altro è la capacità di gestione del progresso, ovviamente. Un certo tipo di Intelligenza può sostituire l’uomo in diverse necessità, e non deve far paura che il lavoro cambi modalità nei prossimi anni, provando a interrompere un processo o lamentandosi, perché la questione è inarrestabile. Ci si deve attrezzare.
Un certo tipo di intelligenza, se dilaga nel vecchio mondo, è per spingerci a trasformare la nostra nel presente. A trovare strade nuove da percorrere. Tutto ciò che porta in crash, in crisi, le nostre menti, è un valore aggiunto per le nostre vite. In questo è davvero intelligente questo artificio! Per ora sono di uso comune conosciuto le varie forme di A.I. di utilizzo grafico o per scrittura, ma presto (e già lo è) sarà il motore di infinite attività. E perché dovrebbe essere rifiutata o temuta? Un tempo era utile studiare l’inglese, ma il salto in alto vero, nel mondo del business, lo ha fatto chi ha scelto di imparare l’arabo o il cinese. Chi ha compreso la direzione, ma non ha preso la stessa strada degli altri.
Allora sarà il caso di attrezzarsi. O di scegliere la rarità nel flusso opposto, tornare alla manualità: se avessi figli non gli regalerei a 18 anni uno smartphone da 2.000 euro, gli regalerei un pezzo di terra su cui imparare a coltivare e ad amare ciò che proviene da lì. Dove scoprire cosa sono le stagioni e che favolosi frutti danno tutte. Pure l’inverno più rigido. Pure nell’estrema difficoltà, può germogliare il nuovo. Sempre.
Esistono infiniti tipi di intelligenze, come elenca la scienza (altra intelligenza atta alla codifica, alla ripetizione, alla credibilità vissuta solo nella sperimentazione che a volte però pecca nei tempi e rifiuta cose che poi verranno accettate). Oltre alla definizione del dizionario : “Capacità di attribuire un conveniente significato pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza”. È difficile definire in realtà cosa sia, benché in molti abbiano provato a catalogarne diverse sfaccettature: Intelligenza logico-matematica, psico-motoria, esistenziale, naturalistica, interpersonale, intrapersonale, linguistica, spaziale, etc… E ognuno di noi possiede queste e infinite altre intelligenze che si occupano di “cose”. Bene, tutte queste sono ovviamente sostituibili e superabili dall’Intelligenza artificiale. E allora? Le macchine possono riprodurre alla perfezione, solo quello che l’uomo inserisce al loro interno. Gestendolo, trovandone le infinite possibilità, le combinazioni e così via, nel minor tempo possibile e con un’efficienza stupefacente, a seconda, però, sempre della capacità di specifiche richieste da parte di chi fa la domanda. Il problema quindi non è l’avvento di queste nuove tecnologie, piuttosto potrebbe esserlo la mente umana che la nutre. L’A.I. non è un nemico. E non potrà surrogare il cuore intimo del nostro esistere.
L’Intelligenza non è coscienza, consapevolezza. Nulla potrà sostituire la percezione. Alla domanda “Cos’è la vita?” non possiamo rispondere con definizioni, perché la risposta passa attraverso infinite trame che ci riguardano così intimamente, ed è in continua trasformazione. Provate a chiedere ad Alexa “Perché sono felice?”. Ascoltate la risposta. Nulla potrà sostituire la Coscienza, quella forza che sostiene la natura e che manifesta ogni cosa. Quello stato sperimentabile solo in assenza di un divenire di meccanismi chiamati pensieri.
Patanjali, il grande Rishi che codificò lo yoga per come lo conosciamo, in Yoga Sutra (III, 50-51) dice che “Solamente chi sa discernere l’Intelligenza pura, dalla Coscienza profonda (il principio primo di coscienza), dispone della facoltà di governare le cose, ed è solo quando svanisce ogni legame anche con queste facoltà che, la fonte dei nostri vincoli (proprio la mente cognitiva) è annullata e si manifesta la libertà suprema”. La più alta e chiara intelligenza, non sostituisce la coscienza.
E potrà mai l’intelligenza artificiale, farci assaporare il gusto di una pesca nei primi giorni di giugno, la leggerezza dell’odore dei tigli, quando il gusto e la fragranza lo donano l’attesa nel cuore dell’estate oltre che alla stagione passata che ha condotto la maturazione dei doni grazie alle forze della natura?
O riconoscere nel proprio sentire la tenerezza del profumo di un bacio sulla pelle di un neonato, o il sentiero che scava l’amore in una carezza all’amato/a.
O potrà mai raccontarci o riprodurre in noi l’incanto di un cielo stellato, dei picchi innevati, la libertà del grano che ondeggia al vento o del mare in tempesta, o offrirci gli occhi di chi non c’é più?
O il vuoto pienissimo dell’istante dell’addio o dell’abbraccio dell’ultimo respiro in noi?
Potrà mai A.I. portarci alla sacra ignoranza del non sapere per essere liberi dalle nostre convinzioni?
Eppure potrebbe essere un nuovo punto di incontro. E se i potenti del mondo, in continuo conflitto per le incapacità di risoluzioni delle controversie, potessero lasciarsi aiutare da questa ingegnosa collaboratrice (non per niente l’Intelligenza è un sostantivo femminile) per trovare il punto d’incontro comune? Per non continuare a depredare il pianeta delle sue (finite) risorse. Per ridistribuire un’economia sostenibile. Per equilibrare. Forse sarebbe l’ennesima volta in cui una macchina aiuterebbe l’uomo a migliorare le proprie condizioni, ma che in principio sembra rischiare, come per la scrittura nel mito, di avvizzire, depredare, annientare una condizione, assolutamente precaria, esistente.
Forse è necessaria un’ intelligenza inclusiva, che tutto accolga, che non rifiuti il nuovo, che sappia aprirsi agli eventi con stupore e maturità, imparando a gestire l’arrivo verso il bene comune. Quello che viene da sé lo lascio venire, diceva Swami Kriyananda. È l’opporsi che crea il disagio. L’ accoglienza, come fa la terra con il seme, dona nuovi germogli.
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